Olivicoltura “superintensiva”: semplice avere le piante, difficile avere l’acqua

di Silverio Pachioli
  • 13 September 2023

La meccanizzazione in agricoltura non deve essere vista solo come un aiuto per ridurre i costi di produzione, ma anche come un ausilio per migliorare la “dignità” di coloro che lavorano giornalmente nei campi. Quando ci si allontana da questo “mirabile” concetto ci si ritrova, come spesso accade, a tralasciare le macchine per “sfruttare” il lavoro di extracomunitari, disoccupati e altre categorie di lavoratori che, quasi quotidianamente, sono diventati più “convenienti” delle macchine.
Il consumatore ha sempre da lamentarsi per il prezzo dei prodotti agricoli che ritiene elevato (vedi olio, frutta, ortaggi, ecc.) ma, per “par condicio”, dovrebbe fare altrettanto, per esempio, con i prodotti del “sacrosanto” turismo, oppure con quelli della moda, della bellezza, ecc., tutti settori che sembrano non conoscere crisi.
Il problema, spesso, non va ricercato nel prezzo di un prodotto, ma nella ripartizione “ragionata” del reddito delle famiglie.
Purtuttavia non muore proprio nessuno se si rinuncia a una serata con gli amici per comprare del buon olio extravergine di oliva!
A rimetterci, purtroppo, complice anche la speculazione, sempre pronta come un avvoltoio dietro l’angolo, è la povera agricoltura, l’agricoltore e l’ambiente, sempre più soggetto, quest’ultimo, a un’intensa azione di “forzatura” (vedi input chimici) per aumentare le produzioni, pur di far quadrare i bilanci delle aziende agricole.
Le diverse “crisi” (covid, guerre, ecc.) fanno ritornare di moda l’antico mestiere dello “speculatore”, in verità mai tramontato!
Anche il settore dell’olivicoltura si trova di fronte a “epocali” cambiamenti, sempre in ragione di bilanci aziendali che “non quadrano”.
A detta di tutti gli specialisti, ormai, l’olivicoltura, così come è strutturata in molte parti del nostro Paese, non è più redditizia. Spese di potatura, di raccolta, ecc., sembrano “rosicchiare” i bilanci a tal punto da portare alla definitiva chiusura delle nostre aziende olivicolo-olearie. Questo discorso, però, l’abbiamo già sentito per la peschicoltura, la viticoltura, la zootecnica, ecc. Anche lì sembrava che la “RIVOLUZIONE” dovesse arrivare col cambio delle cultivar/razze, con i nuovi sistemi di allevamento, la meccanizzazione (meccatronica!), l’impiego di concimi e biostimolanti, ecc. Purtroppo così non è stato e, forse, i problemi permangono o sono addirittura aumentati.
Quello che è strano, però, è che il prezzo applicato a un prodotto agricolo e che porta al “disastro” delle nostre aziende, spesso, non è quello NAZIONALE ma deriva dalla produzione in una parte del mondo dove, per tanti motivi, si riesce a produrre a pochi spiccioli. Tutto questo però per molti è insignificante perché l’agricoltura, nel nostro Paese, è meno importante di tutto quello che quel mondo può, invece, acquistare da noi, come, per esempio, i prodotti della nostra moda, delle nostre industrie (es. auto), i nostri pacchetti turistici, i nostri armamenti, ecc. 
Meglio, in un certo senso, accontentarli, anche a rischio di far chiudere molte nostre aziende agricole.
Tornando all’olivo e al suo olio, il nostro bel Paese ha tanti modelli di olivicoltura che devono essere studiati, caso per caso e ambiente per ambiente, per capire quale sia il modello giusto da seguire. In questi anni tanto è stato fatto per migliorare le condizioni della nostra olivicoltura e tanto deve essere ancora fatto. Oggi abbiamo cultivar, macchine e concimi per ottenere ottime produzioni a prezzi “accessibili” a tutti. Dipende, come detto all’inizio, da quanto del nostro reddito vogliamo destinare alla nostra alimentazione e, quindi, alla nostra salute.
Ricordiamoci anche che, molto spesso, lanciare “falsi prezzi” per un prodotto serve proprio a determinate categorie per “speculare” intorno a quel prodotto, per sostituirlo, magari, con altri di qualità non equivalente (vedi altre categorie di grassi), oppure per modificare radicalmente quello che è il suo percorso produttivo aziendale per guadagnare, poi, con tutti i mezzi per attuare le trasformazioni.
Sicuramente l’olivicoltura “superintensiva” può dare un grosso contributo al rinnovamento della nostra olivicoltura, ma non dimentichiamo che prima di “sentenziare” il destino di un oliveto dobbiamo dapprima individuare seriamente quali sono le sue problematiche e se possibile intervenire. A volte, semplici interventi di potatura (es. riduzione della chioma), concimazioni, scelta impollinatori, possono riportare in condizioni ottimali un oliveto destinato all’abbandono. Ricordiamo anche che una pianta cresciuta in un luogo da più anni si è ben ambientata e richiederà meno input esterni (es. irrigazioni) per produrre.
E dopo aver fatto tutti i nostri ragionamenti su come rimediare agli errori colturali fatti su questa pianta in tanti anni per “inseguire” colture più redditizie (vedi es. vite), speriamo di non commetterne altrettanti quando ci si orienterà su quell’olivicoltura “superintensiva” che, come ci ricorda il Maestro Morettini, non significa solo più piante, ma anche più acqua, più concimi, meno lavoro ma più specializzato, potature più oculate, ecc.