Definire una politica coerente e condivisa per le biotecnologie

I tempi sono stretti, la questione fondamentale per non bloccare il futuro.

di Dario Casati
  • 12 April 2023

Il problema posto dal veto alla carne coltivata nel nostro Paese ha colto di sorpresa l’opinione pubblica e, di riflesso, anche il mondo scientifico. Per affrontare a fondo la questione che dilaga sui mezzi di comunicazione in un caos controproducente occorre comprendere che essa supera la semplice scelta fra accettazione o rifiuto della carne coltivata basata su reazioni emotive, più gastronomiche o di bandiera che realistiche e scientifiche. Non si tratta di scegliere fra risultati ancora lontani dall’essere pronti e il loro rifiuto. La questione è molto più complessa e si compendia nella risposta da dare alla domanda sulla posizione da assumere nei confronti degli sviluppi della ricerca scientifica e delle nuove tecnologie di processo e di prodotto che ne derivano.
Una questione generale che l’Umanità deve affrontare e che, In questa fase riguarda soprattutto le biotecnologie ed i loro sviluppi. Il colossale problema irrisolto che si è creato con gli Ogm è un incubo difficile da superare e un nodo talmente inestricabile da avere bloccato gli sviluppi agricoli delle biotecnologie, in parallelo ampiamente utilizzate in altri ambiti con risultati positivi e con un’accettazione più diffusa dei risultati della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico.
Proseguire implica prendere atto che è necessaria una svolta fondamentale nei processi di trasferimento dei risultati ottenuti. Perché ciò avvenga occorre mettere a punto una vera e propria Politica per un coerente ed efficace progresso delle biotecnologie da utilizzare nei più diversi settori dello sviluppo scientifico e del conseguente trasferimento in molti ambiti: salute, cambiamento climatico, produzione di energie innovative, sicurezza degli alimenti e garanzia di disponibilità adeguata, agricoltura (processi e prodotti), solidità delle catene di rifornimento e della loro reattività alle crisi. Tutto ciò comporta il trasferimento delle modalità delle scelte da sommatoria di fatti episodici a una strategia politica che riguardi la sicurezza nazionale e l’economia dei singoli Paesi e del mondo intero.
Non ci si può limitare ad atteggiamenti istintivi e spesso improvvisati, a impulsi momentanei: serve il passaggio a ponderate scelte generali, a pensare e a progettare il futuro stesso dell’Umanità. Tutto ciò non configura una coercizione politica o la dittatura di oscuri poteri, al contrario implica un sereno dibattito sulle condizioni e le modalità con cui queste scelte si compiono per il bene dell’Umanità.
Nel campo della salute, la grande impresa della rapida messa a punto di vaccini grazie ai progressi della genetica che hanno consentito, insieme agli sviluppi della produzione di farmaci di nuova generazione  e all’impiego di terapie efficaci, il superamento della più grave crisi pandemica che si ricordasse in tempi moderni, mostra che è necessario  affiancare al solo metodo scientifico anche un insieme di approcci relativi agli aspetti etici, di equità degli accessi alle tecnologie, di garanzia della loro sicurezza  e della loro disponibilità per acquisire un adeguato consenso generale all’accettazione dei salti tecnologici che possono spaventare.
Nasce da tutte queste considerazioni l’esigenza di aprire un dialogo ampio e sereno fra i diversi soggetti che operano nella Società per evitare scelte affrettate (comunque aprioristiche) che avrebbero conseguenze estremamente negative. L’Umanità ha bisogno di procedere sul sentiero dello sviluppo in maniera consapevole e convinta. Non si può permettere la rottura dei processi di sviluppo come spesso è avvenuto in questi ultimi anni dagli Ogm al No vax.
Purtroppo è quanto accade ora, con l’epidermica reazione alla carne coltivata, descritta come già pronta nel piatto, discussa in maniera superficiale e confusa, tirando in campo un insieme di pregiudizi quanto meno ingiustificati e prematuri. Parlare di “cultura alimentare” quando il cibo finale rimane quello di sempre, mentre cambiano le modalità di alcuni parziali processi di produzione. Ritenere realistica una congiura contro il buon cibo tipico della tradizione italiana o una lotta mirata ai “gioielli” del nostro alimentare appare quanto meno inadeguato alla consistenza del problema e profondamente lontano dai problemi che l’innovazione pone e dalle prospettive che essa apre.
I grandi temi del futuro sono di grado ben superiore e richiedono approfondimenti, collegamenti, coordinamenti di politiche in un’unica politica dell’innovazione anche in campo agricolo e alimentare.
Certamente le incognite sono numerose e serie. Se solo pensiamo a come devono essere sembrate le scelte che i nostri antenati hanno compiuto per la loro sopravvivenza e per quella del genere umano, i dubbi, i contrasti, gli esperimenti di un grande cammino intrapreso con interrogativi e costi umani elevatissimi, non possiamo fermarci. Dobbiamo fare sì che le conoscenze della natura dei prodotti, delle tecnologie presenti e potenziali, dei collegamenti fra i diversi campi delle biotecnologie fra loro e con le altre scienze, delle implicazioni delle innovazioni sulle grandi variabili dello sviluppo, comprese quelle sul capitale umano e sul suo futuro vengano utilizzati in maniera coordinata costantemente orientata al progresso. Magari anche mettendo ordine nel modo stesso di denominare i fenomeni che stiamo imparando a conoscere, a partire, ad esempio, dal semplice uso del prefisso “bio” che ha perso il suo significato per divenire una sorta di magico marchio commerciale per produrre e “vendere” di tutto.
Un grande lavoro ci attende nell’immediato futuro per realizzare una vera ed ispirata politica dell’innovazione per prodotti e processi biotecnologici.
I tempi sono stretti, la questione fondamentale per non bloccare il futuro.