Firenze 1865, una “capitale di passaggio”

di Lucia Bigliazzi, Luciana Bigliazzi
  • 23 December 2015
Che da un punto di vista daziario Firenze fosse annoverata fra i cosiddetti comuni chiusi era fatto certo; con i suoi 8 chilometri di cinta murarie e le sue 11 porte la città nel 1865 continuava a perpetuare da secoli le modalità di ingresso per persone e cose: “Guardate … le porte delle città nostre”, annotava Rubieri  nella Memoria presentata ai Georgofili nell’agosto del 1865 (Sulla utilità dell’abolizione delle gabelle in generale, e di quelle di Firenze in particolare. Memoria letta dal Socio ordinario Ermolao Rubieri nell’adunanza del 6 agosto 1865) mettendo a confronto la libera circolazione dell’Inghilterra (“cose e persone nelle città entrano ed escono senza molestia e senza intoppo”) con la realtà toscana e di Firenze in particolare

specialmente nelle prime ore della mattina, vedrete un accalcarsi e
sostare in lunghe file di carri e carretti, some e somieri, uomini
e cose; e un bestemmiare da una parte di chi deve tenere
a freno tutta questa folla,
e non la vede ferma e paziente abbastanza, e dall’altra di chi vorrebbe
affrettarsi a sbrigare i propri affari, e si accorge o che giungerà troppo
tardi sul mercato a spacciare le proprie derrate, o troppo tardi potrà tornare a riprendere l’abbandonato lavoro; e un passare a un per volta; e un fermarsi
di nuovo per iscaricare e pesare e ricaricare, e far conteggi
e pagar denari e ritirar ricevute, quando pure chi appena siasi rimesso in cammino, non debba fermarsi da capo innanzi a nomadi
verificatori per indagini nuove.
E vedrete frugati i pacifici passeggieri fin nelle loro tasche, acciocchè  dimostrino di non ascondervi frodo, e frugate anche le pacifiche passeggiere fin sotto le loro gonnelle, acciocchè risulti esser tutta
o gonfiezzza di moda o solidità di complessione quelle che le gonnelle stesse ricuoprono

Si affrettava il Nostro a chiarire che per tale delicata operazione e in nome del pudore e  della decenza erano stipendiate “frugatrici” esperte. “Irrefragabile testimonianza di vessazione” annotava Rubieri che non portava a grossi introiti per lo Stato ma bensì a spese ingenti per il mantenimento di tutto il personale necessario per questa attività di controllo.
Ora Firenze, destinata ad essere per poco tempo (o per sempre?) capitale del nuovo Regno  stava procedendo a grandi lavori di ampliamento che prevedevano anche l’abbattimento della preesistente cinta muraria  per altra di maggior perimetro, passando  dagli antichi 8 chilometri  a  ben 24 e mezzo con numero di porte aumentate in proporzione. Il nuovo perimetro, sebbene ridimensionato nel progetto finale rispetto a quello iniziale, prevedeva un’estensione che toccava “la imboccatura del Mugnone, Careggi, il Pino, San Domenico di Fiesole, Varlungo, le Cinque Vie, Monte Ripaldi, Soffiano e San Quirico”.
Il Nostro non intendeva entrare in merito al contenuto del progetto di ampliamento,  desiderava però fare emergere la contraddizione fra il destino di Firenze e il sistema daziario che rimanendo immutato nelle modalità avrebbe finito col ‘soffocare’ la vita commerciale e le attività della città

Io non deciderò se questo perimetro sia giusto o soverchio, poiché tal decisione dipenderebbe da un problema politico del quale non debbo nè
voglio occuparmi. Invece di pronunziare una sentenza, mi contenterò dunque di stabilire un’alternativa, dicendo che il nuovo perimetro potrebbe diventare o soverchio o giusto, secondochè l’Italia volesse o mantenere o modificare il suo nazionale programma, cioè accettare o Roma o Firenze per capitale perpetua

Il danno per la città sarebbe stato in ogni caso certo, poiché “il mantener le gabelle”  era sempre nocivo, ma se Firenze fosse rimasta capitale “il nocumento sarebbe stato molto minore”, “incalcolabile” al contrario se da Firenze la capitale fosse stata trasferita a Roma. 
Nel primo caso infatti la città avrebbe sofferto soltanto delle spese sostenute per la costruzione e amministrazione del nuovo perimetro murario; “nell’altro caso invece, ai danni naturali del sistema” si sarebbero aggiunti “tutti quelli eventuali di una crise nella quale la capitale provvisoria, tornata città di provincia” si fosse visto “precluso per sempre un incremento corrispondente all’enormi spese di costruzione e di amministrazione che avesse affrontate”, rimanendo “come una vedova ricca di corredo ma priva di dote”.
E Rubieri chiariva ancor meglio il suo pensiero

In tale stato di cose, resterebbe ampio terreno a rada
 popolazione, e molto orto a pochissimo fabbricato. L’ampio terreno manterrebbe gravissime
 le spese di amministrazione daziaria, le quali non 
troverebber  compenso nell’aumento dei proventi, perchè la introduzione di molte merci soggette a gabella, mentre da un lato sarebbe meno richiesta 
dalla scarsità della popolazione e del fabbricato, dall’altro sarebbe in gran parte supplita dalla interna abbondanza dell’orto.
 A questi inconvenienti puramente economici, sarebbe poi
da aggiungersi lo sconcio materiale
d’un piccolo torlo entro un vastissimo guscio, ed anco lo smacco morale di un esito abortivo ad aspirazioni fastose

Il Nostro aveva ipotizzato una soluzione sull’esempio di quanto avvenuto in Belgio poco tempo prima: nel marzo del 1860 il ministro delle finanze aveva abolito le gabelle e “non solo per questo grandissimo regalo” nulla aveva chiesto ai comuni, ma anzi aveva loro ceduto “per sopperire alle loro spese una parte e notevolissima su alcune delle proprie entrate”.
Era convinto che l’adozione di questo sistema, oltre a risolvere la questione relativa a Firenze come eventuale capitale perpetua del nuovo Regno, avrebbe ridato alla città vitalità,  “solerzia e ricchezza”

Voi sapete che gli effetti più importanti sarebbero il libero movimento di una immensa massa d’industre popolazione; il ritorno a nuova vita di
 un mercato scaduto dall’antica fama, solerzia e ricchezza; e in ultimo il morale vantaggio di veder mancato il fomite a quella turpe lotta dal sistema delle gabelle resa perenne tra l’angheria e lo spionaggio da una parte e il contrabbando e la subornazione dall’altra