24 milioni per il bio, è una notizia positiva per l’agricoltura?

La transizione ecologica deve essere attentamente considerata se vogliamo garantire risorse produttive anche in futuro ma è per questo che non si spiegano politiche agricole con incentivi per produrre di meno con tecniche superate e non per tutta l’agricoltura, che è più produttiva.

di Dario Casati
  • 26 October 2022

Nei giorni convulsi in cui si celebra la transizione fra una Legislatura e quella che la segue siamo sommersi da una quantità di notizie. Nella confusione mediatica è difficile orientarsi e capire quali siano quelle davvero rilevanti e quali, invece, siano effimere destinate rapidamente a scomparire. Pochi giorni fa è capitato di imbattersi in una notizia di agenzia dell’Ansa con un titolo che colpisce: “Arrivano 24 milioni di euro per l’agricoltura biologica”. Verrebbe da pensare ad un fatto positivo, segno della volontà di fornire, in mezzo ai tanti diffusi a destra e a manca, un finanziamento all’agricoltura che fra siccità, carenza di prodotti sui mercati mondiali e inflazione è in serie difficoltà. Forse la volontà è proprio questa ma, ugualmente, vale la pena rifletterci.
La notizia riguarda l’intesa fra Stato e Regioni per sbloccare un finanziamento già approvato, dunque una decisione già presa. Nasce subito il desiderio di comprendere se e quanto venga concesso in un’analoga forma straordinaria al resto dell’agricoltura, quella di gran lunga prevalente e classificata come convenzionale che costituisce la parte più rilevante del settore. Ma le domande sono anche altre, ad esempio perché pensare a finanziamenti straordinari in tempi in cui il denaro a debito sembra non finire mai, con quali obiettivi e con quali aspettative.
Il “biologico” è solo un metodo di coltivazione, produce gli stessi prodotti con pratiche colturali basate su tecniche del tempo che precedette l’agricoltura moderna e che si basano su alcune convinzioni non supportate da un’evidenza scientifica adeguatamente e correttamente formulata. In molti Paesi è detta “agricoltura organica”, ma da noi si è auto definita biologica, con un termine che sembra scelto da esperti di marketing molto abili. Ci si potrebbe chiedere quale alimento non sia biologico, visto che tutti hanno questa natura e derivano da processi biologici. L’agricoltura intera lo è, perché opera su esseri viventi e con esseri viventi seguendo questi processi. La differenza viene spiegata affermando che il biologico non si avvale di prodotti chimici di sintesi. In realtà non è proprio così, la definizione è in buona parte ingannevole, perché la lista dei prodotti ammessi è lunga, ma poco pubblicizzata. E poi bisognerebbe dimostrare la differenza fra lo stesso composto che si ritrova in natura e quello che deriva da una sintesi. Il biologico con le sue tecniche aborre l’introduzione delle innovazioni in ogni ambito scientifico e il trasferimento tecnologico, massimamente in ambito genetico, dimenticando quanto abbia influito la selezione effettuata dall’uomo in quella decina di millenni che costituiscono la storia dell’agricoltura, avviata dalla scoperta del seme, della sua cura, del suo sviluppo e dell’attesa del raccolto.
Il vero obiettivo dell’agricoltura è fornire cibo in quantità e di qualità nutrizionale sempre crescenti ad un’umanità la cui sopravvivenza e il cui sviluppo numerico e salutistico dipendono dalla quantità di cibo disponibile. La produttività nei millenni è stata misurata con il rapporto fra prodotto ottenuto e impiegato. L’agricoltura convenzionale ha rendimenti produttivi molto più elevati di quelli conseguiti da qualsiasi teoria pseudo scientifica.
Sorprende il ricorso fideistico a tecniche obsolete ed abbandonate da tempo quando, come ora, l’umanità attraversa crisi gravissime e, purtroppo, combinate. Da quella della fame in vaste aree del mondo che era in riduzione al momento dello scoppio della pandemia, a quella alimentare globale come conseguenza della pandemia e della sua ricaduta negativa sulla disponibilità di alimenti, a quella di un conflitto che, per quanto locale, assume aspetti globali.
Le tre emergenze combinate, sanitaria, alimentare e bellica, richiedono un’intensificazione e non una riduzione della produzione agricola/alimentare. Ovviamente le tecniche in uso debbono essere compatibili con le esigenze del contesto ambientale. La transizione ecologica deve essere attentamente considerata se vogliamo garantire risorse produttive anche in futuro, ma è per questo che non si spiegano politiche agricole con incentivi per produrre di meno con tecniche superate ed abbandonate e non per tutta l’agricoltura che è più produttiva.
Anche le risorse economiche da impiegare hanno un limite e vanno utilizzate al meglio, tenendo conto delle molteplici esigenze dell’umanità, a partire dall’efficienza degli investimenti e non dalle ideologie, senza creare comparti privilegiati che contribuiscono ad aggravare le carenze e le differenze.
I Paesi ad alto reddito possono baloccarsi con tecniche agricole scarsamente produttive, con costi unitari più elevati, prezzi di conseguenza superiori e riduzione della produzione perché, cinicamente, possono spendere di più acquistando sui mercati quanto serve loro, ma così facendo riducono la disponibilità di cibo per l’intera umanità.
La lezione delle emergenze è tutta nella presa di coscienza di queste considerazioni e nella predisposizione di adeguate politiche agricole di produzione, trasformazione e conservazione degli alimenti. È una lezione vecchia come la civiltà umana, secondo la Bibbia e la storia è quella che Giuseppe adottò al tempo delle piaghe d’Egitto.
Nasce da ciò un invito a ragionare seriamente sulla questione, magari prima di continuare a sprecare risorse di terra, di lavoro e di capitali da investire. A capire, come insegna la siccità del 2022, che un’agricoltura efficiente ha bisogno di acqua e che, ad esempio, il metodo biologico non vuol dire, come pure qualcuno sostiene, risparmio di acqua.