La cisgenesi può risolvere molti problemi dell’agricoltura

“Serve apertura legislativa e investimenti nella ricerca”. Intervista a Luigi Cattivelli, direttore del centro di ricerca per Genomica e Bioinformatica del CREA

di Giulia Bartalozzi
  • 19 October 2022

Dott. Cattivelli, perché studiare la genomica?
Ci sono tre questioni prioritarie nel mondo dell’agricoltura oggi. La prima sono i cambiamenti climatici, che non sono soltanto gli eventi estremi di cui si parla ai telegiornali, ma è una tendenza costante e molto pervasiva per cui ad esempio non si vendemmia più in ottobre ma lo si fa ad agosto, quindi è evidente che non si possono usare le piante di ieri per fare agricoltura nel clima di domani. La seconda questione è quella della sostenibilità ambientale, per la quale si richiedono meno input chimici  quindi per garantire la produzione le piante devono essere geneticamente resistenti. Infine, last but not least, c’è la richiesta di aumento della produzione per soddisfare le esigenze della popolazione in crescita. La produttività è un aspetto fondamentale, tant’è che se si ferma un solo paese, come l’Ucraina, ne vediamo le conseguenze a livello mondiale.

Che cosa fare, dunque?
Un’opportunità unica ed importante per affrontare i problemi di oggi è offerta dalle mutazioni genetiche indotte in laboratorio. Premesso che le mutazioni nelle piante sono sempre esistite in natura, le nuove tecniche di genome editing permettono di conoscere in anticipo quale mutazione indurre e il gene nel quale indurla, quindi di operare con efficienza e in tempi rapidi. Questo del resto è stato il motivo del Premio Nobel 2020 a Emmanuelle Charpentier e a Jennifer Doudna (https://www.georgofili.info/contenuti/risultato/15249) ed è chiaro che impatterà su tutte le scienze, compresa la medicina, permettendo di curare delle malattie genetiche. Resta da capire perché la genomica applicata all’essere umano viene compresa ed accettata mentre quella applicata alle piante trova tanti ostacoli … ma questa è un’altra faccenda. 

Ripetiamolo ancora: perché le nuove biotecnologie non sono OGM?
Gli OGM sono piante ottenute trasferire un gene da una specie ad un’altra, e in questo caso si tratta di specie distanti tra loro (il mais BT contiene un gene di origine batterica) e spesso lo stesso gene è il risultato della combinazione in laboratorio di due/tre “pezzi” ciascuno dei quali proviene da una specie diversa.  Al contrario le nuove biotecnologie consentono di lavorare solo all’interno della specie target di norma inducendo mutazioni nel DNA in punti predefiniti. Ed anche quando si inserisce un intero gene, la sequenza proviene sempre da un’altra pianta della stessa specie o comunque interfertile con la specie target (cisgenesi). Anche la cisgenesi si è quindi ben diversa dalla transgenesi, utilizzata per ottenere gli OGM, in cui si mescolavano geni di specie diverse! Grazie alla cisgenesi, ad esempio, è possibile creare un vitigno resistente alla peronospora: basta selezionare il gene della resistenza nella forma selvatica della vite e trasferirlo sulla forma coltivata. E si ottiene un vitigno pressochè identico all’originale ed un vino altrettanto buono.

Ci dice qualcosa del progetto BIOTECH, appena terminato?
Con il progetto BIOTECH, che ho coordinato ed è stato il primo progetto di ricerca pubblica dedicato alle biotecnologie, abbiamo affrontato numerosi problemi dell’agricoltura e li abbiamo anche risolti. Ad esempio abbiamo creato un tipo di pomodoro resistente agli attacchi della pianta infestante orobanca, semplicemente bloccando il gene che fa produrre al pomodoro le sostanze che attirano questa infestante. Sempre con il genome editing abbiamo ottenuto pomodori resistenti a stress, le melanzane senza semi, cereali con semi più grossi, ecc. .
Penso che ci siano i problemi ma anche le soluzioni. Serve adesso un’apertura legislativa a livello europeo ed in parallelo  degli investimenti consistenti nella ricerca. Al momento l’Italia è piuttosto avanti nel settore ed il contributo del progetto BIOTECH è stato rilevante, il progetto ha investito 6 milioni di euro e fatto lavorare molti laboratori italiani, diffondendo uno know-how molto qualificato tra gli operatori. L’importante è continuare su questa strada.