Ogm tra mito e realtà

  • 07 October 2015
Mentre il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, quello dell'Ambiente Gian Luca Galletti e della Salute, Beatrice Lorenzin, hanno inviato alla Commissione Ue le richieste di esclusione di tutto il territorio italiano dalla coltivazione di tutti gli Ogm autorizzati a livello europeo, riteniamo opportuno pubblicare questa intervista tratta dall’ Almanacco della Scienza n.8, mensile a cura dell’Ufficio Stampa del CNR, 26/08/2015

Sin dalla loro comparsa all’interno del dibattito pubblico internazionale, il 18 gennaio 1983 durante un simposio di genetica a Miami, quando tre gruppi di ricerca annunciarono contemporaneamente di aver modificato per la prima volta il corredo genetico di alcune cellule vegetali, gli Ogm hanno incontrato forti e numerose resistenze..
Tra le principali critiche mosse allo sfruttamento su larga scala delle varietà vegetali geneticamente modificate, quelle fondate sul timore che le grandi multinazionali dell’agro-alimentare, le uniche in grado di sostenerne i costi di produzione, possano influenzare a loro piacere il mercato mondiale, incidendo sugli equilibri socio-economici dei paesi in cui la piccola e media agricoltura gioca un ruolo fondamentale. Progettando sementi sterili o meno produttive, queste industrie costringerebbero i coltivatori a riacquistare stagionalmente il seme, togliendo loro la possibilità di produrre per conto proprio le sementi per coltivazioni successive, con una conseguente diminuzione degli utili.
“Questa convinzione è falsa”, spiega Roberto Defez, direttore del Laboratorio di biotecnologie microbiche all'Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Cnr di Napoli. “Non esistono in commercio semi di piante Ogm sterili: sono tutti fertili, producono piante che fruttificano come tutte le altre piante della stessa varietà. Basti pensare che nel 2002, in India, si coltivavano 29 mila ettari a cotone Ogm, oggi diventati 11,6 milioni e pari al 95% di tutta la produzione del cotone indiano. Questo perché, mediante questa tipologia di pianta, si è ridotto del 39% l’uso d’insetticidi, la resa per ettaro è raddoppiata, arrivando a 600 chilogrammi per ettaro, e la reddittività è aumentata di 250 dollari per ettaro. Gli agricoltori, inoltre non sono soliti riprodurre i semi, se non in casi rarissimi e solo per coltivare degli orti, non per fare agricoltura vera. La ragione sta nella professionalità delle aziende sementiere, che garantiscono l'elevata purezza e capacità di germinazione dei semi, evitano incroci con altre varietà e selezionano semi sempre più produttivi e resistenti a varie patologie (virus, batteri, funghi, etc.). Basti ricordare che le insalate che mangiamo (tutte non Ogm) sono selezionate per portare 30 varietà di geni di resistenza a funghi dannosi: un lavoro da genetisti agrari, non certo da contadini".
Ma quali i rischi che questi artefatti genetici implicherebbero per la biodiversità vegetale e per la nostra salute? “Tra il 2010 ed il 2013 in Friuli sono stati coltivati vari campi di mais Ogm del tipo Bt, sotto la sorveglianza dell’autorità giudiziaria e regolarmente autorizzati”, continua il ricercatore dell’Ibbr-Cnr. “La guardia forestale ha effettuato decine di campionamenti nei campi fiancheggiati, alcuni distanti solo cinque metri dal campo coltivato con mais Bt, e in nessun caso l’autorità ha rilevato livelli di commistione accidentale superiori ai limiti di legge vigenti. C’è inoltre un dato incontrovertibile: a oggi non si registra un solo caso di persona ricoverata a causa del consumo di piante Ogm; per contro, quattro anni fa in Germania 53 persone sono morte e centinaia furono ospedalizzate per aver mangiato germogli di soia coltivati con metodo biologico. 
Molte istituzioni ed enti internazionali, come l’Organizzazione mondiale della sanità o l’Unione europea hanno sancito che gli Ogm non causano alcun maggior rischio rispetto alle piante originarie e anzi sono spesso più sicure per l’ambiente e per la salute umana”.