Ritorno alla terra in una logica di sviluppo

di Dario Casati
  • 21 January 2015
L’incremento della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, rappresenta forse l’aspetto della crisi che più preoccupa l’opinione pubblica del nostro paese. Come in un drammatico bollettino di guerra si susseguono i dati delle rilevazioni che indicano come il fenomeno non si sia ancora esaurito ed anzi, anche nelle previsioni per il 2015, sia destinato a proseguire, almeno fino al concretizzarsi della tanto sospirata ripresa. In un panorama così sconfortante destano grande attenzione i dati forniti da alcuni osservatori in base ai quali in agricoltura sarebbe in corso un fenomeno opposto, con un incremento dell’occupazione ed un inatteso ritorno alla terra. Al di là della consistenza delle cifre presentate che sono oggettivamente difficili da gestire e da interpretare, si accompagna ad esse, come una conferma, un certo incremento delle iscrizioni alle scuole superiori ad indirizzo agrario ed ai corsi di laurea della stessa area. Anche questo, però,  di difficile lettura. Il vero punto  da chiarire non sono i numeri, ma la logica con cui va affrontato oggi il problema dell’occupazione in un’economia in crisi. Una logica che è ben diversa da quella dell’ 800 o del periodo post bellico. 
La dinamica dell’occupazione è un fenomeno difficile da rilevare e da interpretare per la sua complessità. Le stesse statistiche ufficiali sembrano confondere le idee più che chiarirle. Per evitare errori occorre usare sempre lo stesso tipo di rilevazione e seguirne l’evoluzione per un periodo di tempo abbastanza lungo per cogliere la dinamica del fenomeno e non una sua immagine istantanea. Così si vede che  l’occupazione agricola prosegue nel suo calo tendenziale, sia sulla base dei dati annuali dell’ultimo quinquennio sia, in particolare, di quelli dell’ultimo triennio ricavati dalle rilevazioni trimestrali. Gli occupati agricoli sono attualmente 810.000, a fronte di un totale di circa 22,4 milioni. Il loro peso percentuale scende di circa uno 0,1% all’anno ed è, nel terzo trimestre del 2014, al suo minimo storico al 3,6%. Il calo tendenziale prosegue, come accade in tutte le economie sviluppate e sta portando l’incidenza dell’agricoltura molto prossima a quella degli altri paesi confrontabili con il nostro. 
Il ritorno non c’è e il calo è analogo al resto dell’economia e non vale l’aumento della domanda di studi agrari per dedurne un incremento di occupazione. La domanda, già in flessione nel 2014/15, in realtà è cresciuta un po’ per l’impulso della moda smosso da EXPO, un po’ per ragioni tecniche dovute alla diffusione del numero chiuso all’università avvenuta in tempi diversi, prima nelle facoltà scientifiche in genere e poi in quelle di agraria.
Il problema dell’economia italiana, non solo di quella agricola, non è creare o mantenere occupazione scarsamente produttiva ad ogni costo, ma quello di stimolare la richiesta di forza lavoro con lo sviluppo di attività che possano assumere lavoratori remunerati a prezzi di mercato che facciano rendere il loro lavoro. Non si risolve contando il numero degli occupati, ma facendo crescere la loro produttività e quindi i loro redditi che derivano dalla capacità di vendere i prodotti ottenuti. Ecco perché non ha senso parlare solo di occupazione se non si  promuovono politiche economiche che favoriscano la crescita dell’economia e quindi la domanda di lavoro da parte delle imprese. Allo stesso modo, non serve un esercito crescente di lavoratori agricoli, ma occorre che il loro numero sia sostenuto da un’adeguata produttività e redditività. Tutto il resto non è logica di sviluppo.


A return to the land through logical development

The Italian economy’s problem—and not just in the agricultural sector—is not to create or maintain barely productive jobs at all costs, but to stimulate labor demand through the development of activities that can hire workers paid at market prices that make their work remunerative. It is not resolved by counting the number of employed workers, but by raising productivity and consequently the income deriving from the capability of selling the resulting products. That is why it is useless to just talk about employment if economic policies are not promoted that aim at economic growth and hence businesses’ demand for labor. Similarly, there is no need for a growing army of farmers but they must be supported by adequate productivity and profitability. Everything else is not logical development.