L’agricoltura dei microappezzamenti

di Marcello Pagliai
  • 01 June 2022

In un articolo apparso su “La Repubblica” il 30 aprile u.s., si affermava che l’1% delle imprese agricole sfrutta il 70% della superficie coltivabile. Nell’articolo veniva citato un rapporto dell’ONU secondo il quale l'80% delle aziende agricole nel mondo lavora su microappezzamenti che non superano i 2 ettari. L’articolo in questione sottolineava anche che la proprietà in poche mani però non sta portando a un utilizzo razionale delle risorse del pianeta Terra.
Questa è una situazione ben nota agli addetti ai lavori ma per l’opinione pubblica può suscitare sconcerto e preoccupazione; la nostra epoca è ormai caratterizzata da cambiamenti di notevole portata iniziati già nella seconda metà del secolo scorso.
In Italia, ad esempio, in concomitanza con il così detto “boom economico” iniziato negli anni intorno al 1960 si verificò un progressivo cambiamento del sistema agricolo: con la scomparsa della cultura e della vita contadina, caratterizzata da una forte frammentazione delle proprietà agricole, è iniziato l’abbandono delle aree marginali, lo spopolamento di vaste aree collinari e montane mentre nelle pianure, in un primo tempo, erano i vecchi agricoltori a continuare a lavorare la terra visto che i giovani si spostavano nelle città o andavano a lavorare nell’industria. Man mano che i vecchi venivano a mancare molte di queste proprietà venivano acquistate dalle grandi aziende, da imprenditori singoli e da multinazionali che investivano in agricoltura. Con il passare degli anni, questo ha portato a quello che evidenzia il suddetto articolo, cioè che una bassa percentuale di imprese agricole possiede un’alta percentuale di superficie coltivabile ed è una situazione che interessa, sicuramente e in varia misura, tutti i paesi industrializzati ma, purtroppo, per diverse ragioni, anche quelli in via di sviluppo.
La concentrazione delle attività su microappezzamenti può essere spiegata anche dal fatto che queste nuove imprese sfruttano, giusto il termine usato nell’articolo, le superfici coltivabili tendendo ad avere il massimo reddito a costi il più basso possibile ma i redditi ritenuti ottimali da queste imprese sono i prodotti di pregio che si ottengono solo in suoli di buona qualità con alta fertilità che però, a seguito dell’azione dell’uomo, stanno diventando una specie in via di estinzione!
Infatti, nel mondo ogni mezz’ora se ne perdono 500 ha per le cause più diverse (erosione, inquinamento, cementificazione, ecc.). A proposito di cementificazione (consumo di suolo) è noto che l’agricoltura e l’urbanizzazione competono per l’uso degli stessi suoli: tendenzialmente i terreni a più elevata potenzialità produttiva. Oggi, oltre il 33% dei suoli mondiali è affetto da forti limitazioni per la produzione di alimenti e nei paesi industrializzati le terre da destinare all’agricoltura sono ormai limitatissime.
Da qui si evince il perché del lavoro su microappezzamenti, coltivati, purtroppo, in maniera intensiva, con mezzi tecnici finalizzati più alla riduzione dei costi che a salvaguardare le qualità del suolo e a prevenirne la sua degradazione con il risultato che, nel lungo termine, questi microappezzamenti si ridurranno ancora! Così come si ridurranno anche quelle aziende agricole guidate da imprenditori illuminati che operano o che tentano di operare in modo sostenibile ma che trovano ostacoli economici talvolta insostenibili.
L’articolo evidenzia, giustamente, che questo non è un utilizzo razionale delle risorse del pianeta Terra ma, attenzione, non è un danno che viene fatto al pianeta ma alle future popolazioni. Anche alla luce delle previsioni che nel 2050 stimano che la popolazione raggiungerà i 10 miliardi e che, per sfamarla, occorrerà produrre il 60% di cibo in più rispetto ad ora.
Davvero un bel compito lasciamo alle nuove generazioni!!!