Ogm, gli scienziati italiani:"Non fermate la ricerca”

  • 23 December 2014
Pomodori che crescono anche se l'acqua è scarsa. Mele che resistono alla "ticchiolatura" che macchia le foglie e fa marcire i frutti. Il San Marzano (da anni sotto attacco del virus CMV, Cucumber Mosaic Virus), ha dovuto emigrare dalla Campania alla Puglia per cercare  -  con scarsissimi risultati  -  di sopravvivere; avrebbe potuto essere salvato, con un intervento di biotecnologia. Nulla da fare, la ricerca è stata bloccata. 
Pomodori e mele: dovrebbe partire da qui  -  e non dalla favola della fragola pesce  -  la discussione sugli Ogm, organismi geneticamente modificati, che da metà febbraio investirà tutti i Paesi dell'Europa. Consiglio, Commissione e Parlamento europeo hanno infatti deciso di dare ad ogni Paese della Comunità la possibilità di vietare o no la coltivazione degli Ogm. 
Nel mondo scientifico più che la speranza di una discussione vera ci sono amarezza e rassegnazione. "Giri il mondo  -  dice Chiara Tonelli, docente di genetica e prorettore alla ricerca all'Università di Milano  -  e in tanti Paesi trovi ricerca e innovazione. Poi torni in Italia e ti sembra di rientrare nella villa della vecchia zia, che ebbe il suo splendore ma che ora cade a pezzi". La docente, con il suo gruppo di ricerca, ha prodotto una pianta di pomodoro che per crescere usa il 30% d'acqua in meno. "In sintesi, abbiamo lavorato per ottenere una pianta più "saggia", che assorbe e soprattutto disperde acqua più lentamente. Inattivando il gene MYB 60, gli stomi delle foglie  -  dai quali entra CO2 ed escono ossigeno e vapore acqueo  -  si chiudono solo parzialmente e la pianta resiste più a lungo in caso di siccità. Dire 30% in meno forse non rende l'idea. Ma basta qualche numero, per comprenderne l'importanza. Una mela di 100 grammi contiene virtualmente 70 litri d'acqua, un chilo di frumento o di latte 1000 litri, un chilo di riso 5000. Risparmiare il 30% è tanto, in un pianeta dove il 97% delle acque è salato, il 2% è bloccato ai poli e solo l'1% è utilizzabile. E questa piccola parte viene usata per il 10% per uso domestico, il 20% dall'industria e il 70% dall'agricoltura". 
La docente ormai non crede che la "vecchia villa" possa tornare all'antico splendore. "È stato calcolato che per un prodotto Ogm  -  fra ricerca, sperimentazione, controlli e tutto il resto  -  serva un investimento di 100 milioni di dollari. Per questo le multinazionali lavorano solo su riso, mais, frumento, soia. Ma anche per prodotti di nicchia, come il pomodoro, da noi la ricerca è bloccata”.
I No Ogm sono contrari alla sperimentazione in campo aperto perché le colture biotech potrebbero inquinare i campi vicini e danneggiare la biodiversità. "E pensare  -  racconta Silviero Sansavini, docente emerito di coltivazioni erboree nell'ateneo bolognese  e accademico dei Georgofili -  che per avere il "melo di Sansavini" si erano mossi anche gli americani. Dieci anni fa, dopo tanto lavoro, ho prelevato un gene, il Vf, da un melo selvatico molto resistente, il Malus Floribunda e l'ho messo nel melo Gala, per combattere il fungo Venturia inaequalis che provoca la ticchiolatura. A questo punto si fanno vivi i coltivatori americani che mi dicono: ci dia il brevetto. Io dico no. Lavoro per l'università italiana, i frutti debbono restare qui. Chiedo di fare la sperimentazione in campo, sicuro di ottenerla. E invece no. Tutto bloccato.” 
Nella battaglia contro gli Ogm, il parere degli scienziati non sembra avere alcun peso. Ma se la ricerca in Italia viene fermata, difficilmente si potranno fermare le navi che da anni portano gli Ogm (ad esempio 55 chili a testa di soia modificata) nel nostro Paese.


Da Repubblica.it, 17/12/2014