Un giardino medievale oggi

di Massimo Montanelli e Claudio Conese
  • 05 November 2014
Presso il complesso architettonico detto Montioni  (foto di apertura), tipica “Casa da Signore” medioevale della campagna fiorentina con torre, una tipologia molto diffusa a partire dalla seconda metà del 1200, è stato intrapresa la ricostruzione di un giardino medievale privilegiando un approccio  di carattere agronomico, con lo scopo di compendiare i già numerosi contributi storici ed architettonici svolti sul tema. Dagli studi si percepisce che Montioni fra il 1200 e il 1400 abbia vissuto un periodo particolarmente florido, coincidente con quell’arco temporale nel quale avvenne un importante processo evolutivo dell’agricoltura ed un consistente aumento demografico, interrotti dalla peste del 1348. 

Sono stati presi in considerazione i seguenti aspetti prevalenti:

Il prato fiorito
Dalle immagini e dalle descrizioni si può desumere che le superfici erbose avessero ruolo sia ornamentale che estetico, con due tipologie: una con il manto erboso ben rasato ed accudito,  l’altra invece con erba più lunga e differenti tipi di piante e fiori che conferiscono un aspetto più naturale e spontaneo alla superficie.   
A Montioni si è scelta una conduzione delle superfici inerbite che permetta di realizzare entrambi i tipi di gestione (fig. 2). 


Ciò è stato ottenuto facendo sviluppare naturalmente il prato nei mesi di aprile e maggio, lasciando così fiorire le numerose specie floreali che si sono naturalmente aggiunte al miscuglio polifita di graminacee e leguminose utilizzato per la semina.
Prima che il prato inizi a sfiorire si sfalcia  e si passa ad un mantenimento estivo con  regolari  irrigazioni, tosature con tecnica “mulcing” e modesti ma frequenti apporti fertilizzanti.

La recinzione
Il giardino medievale era caratterizzato dall'essere uno spazio chiuso e protetto, con recinzioni di ogni sorta, siepi, muri e steccionate (fig. 3).


Anche l’etimologia delle parole, nelle differenti lingue e  civiltà, evidenzia questo aspetto; Il motivo di questa comunione di significati è quasi sicuramente originato dal fatto che ciò che è coltivato è oggetto di lunghi lavori ma è anche esposto ai danni che possono essere causati  da numerose specie animali; è intuitivo che si volesse proteggere efficacemente ciò che era oggetto di tanta fatica. Una ben fatta recinzione si proponeva come la migliore soluzione in quanto impediva sufficientemente l’ingresso della maggior parte degli animali ed era realizzabile ovunque sfruttando differenti materiali.
E’ presumibile che la recinzione avesse ulteriori finalità pratiche, considerando che  le abitazioni erano riscaldate solamente con l’ausilio di camini e bracieri e quindi  la temperatura all’interno delle stesse dovesse attestarsi su valori vicini alla media giornaliera.
La recinzione poteva allora creare zone protette dai venti e favorevolmente esposte, permettendo la fruizione degli spazi esterni anche durante le stagioni avverse e non quasi esclusivamente durante la buona stagione come avviene generalmente oggi.

L'uso di vasi, conche ed orci
E' raro trovare un qualsiasi giardino senza vasi o contenitori nei quali sono coltivate piante ornamentali.  L’uso dei vasi per arredare gli spazi a verde, logge e terrazze è comprovato da vari reperti archeologici; testimonianze più recenti si trovano in diverse pitture nelle quali sono raffigurati vasi di vario genere con differenti utilizzazioni, come ad esempio gli “Effetti del buon governo” del Lorenzetti (fig. 4). 


I manufatti più comuni e prodotti in tante varianti sono  le conche e gli orci e probabilmente sono stati i primi a trovare posto nei giardini; nate invece per uso puramente ornamentale sembrerebbero le ampie ciotole ansate che si trovano a coronamento di muri e parapetti riprodotti in vari dipinti (Beato Angelico, Masaccio, Filippo Lippi).
A Montioni  gli  orci, non più utilizzabili come contenitori di olio e vino, sono stati posti per spartire la lunga ringhiera che delimita la terrazza panoramica. (fig. 5).


Sul muro che delimita il piazzale invece  sono stati messi dei vasi ovali, ospitanti delle verbene, fatti a mano e realizzati espressamente per il giardino di Montioni, alternati da  antichi conchini con globi di bosso.

“Guernimenti d'arbori verdi”
L'arte topiaria nei giardini medievali era molto in uso, retaggio probabilmente dei grandiosi giardini di Roma imperiale; nel medioevo era molto in uso realizzare muri merlati, torri e torrioni, purtroppo con il tempo si è persa ogni traccia di questi fortilizi scolpiti nel verde delle piante e rare sono anche le testimonianze. 
Questa particolare forma di potatura è stata applicata a Montioni lavorando su due piante d'alloro ed una siepe di cipressi; dai due esemplari di alloro si sono ricavati due torrioni merlati  (fig. 6), mentre la siepe di cipresso è stata trasformata in un alto muro merlato a chiusura del lato sud dell'hortus conclusus.

 
I rosi
La rosa è senza dubbio il fiore per eccellenza ed è logico quindi che anche nel medio evo si ritrovi in innumerevoli raffigurazioni, in molte delle quali sostenuta da graticci di vari tipi e forme.
Dalle ricerche effettuate, confermate dal parere di conoscitori (es. François Joyaux, massimo esperto in rose gallica e più grande collezionista di rose antiche) è risultato che nel medioevo non esistevano rose sarmentose ma erano usate all’uopo rose del gruppo Alba. 
A Montioni su una parete prescelta è stato realizzato, rifacendosi per tipologia e dimensioni a quelli che si trovavano nelle raffigurazioni pittoriche, un grigliato sul quale è stata allevata a spalliera una rosa Alba dando forma al roso con legature e potature. (fig. 7).


L'allegoria del giardino di Montioni
Nel medioevo era cosa normale usare la simbologia e  la metafora per dare significato alle cose che così acquisivano una valenza comunicativa permettendo un dialogo fra il Divino e l’uomo secondo un intricato ed interdipendente sistema di regole.
Per tale motivo si è ritenuto indispensabile affiancare alla realizzazione di interventi volti a caratterizzare il locus amoenus anche un  percorso allegorico con un preciso significato metaforico e simbolico che ha avuto il ruolo di guida sia nella progettazione che interpretazione del realizzato.
Ci si è ispirati alla storia dell’Asino d’oro di Apuleio, dedicata a Psiche, bellissima sposa di Amore figlio di  Afrodite. Amore le intima di non cercare di scoprire le sue sembianze lasciando così Psiche a dibattersi fra la ratio di obbedire allo sconosciuto marito e l’istinto di voler sapere chi sia, con il rischio di perderlo  per sempre. Questa contrapposizione fra sapere e non sapere, conoscenza e non conoscenza ci accompagna per tutto il percorso al termine del quale troviamo su un lato due piante di rosmarino, simbolo di matrimonio e di morte (fig. 8) e dall’altro un bel tappeto di giaggioli ( fig. 9) bordato di melograni.

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Simbologia che si evolve nei miti del melograno che rappresenta la ciclicità del sacrificio con la vita ponendosi così a suggello del filo conduttore che ha voluto caratterizzare l’intero giardino per il quale, se pur ogni cosa, emozione, sentimento avrà sempre ed immancabilmente il suo perfetto contrario, rimane la certezza della rinascita, della vita che continua.