Rapporto chioma/radice. Base fisiologica per produzione e longevità del vigneto

di Silverio Pachioli
  • 04 May 2022

L’accrescimento radicale è condizionato dalla disponibilità di carboidrati e dalla produzione di bioregolatori endogeni provenienti dalla porzione epigea. Un’eccessiva crescita della parte aerea, rispetto all’apparato radicale, genera un aumento di auxine, le quali vengono trasferite per via floematica alle radici dove indurranno una risposta, attraverso un maggior sviluppo delle radici, per compensare le esigenze vegetative della pianta. All’opposto, un eccessivo sviluppo dell’apparato radicale, rispetto alla parte aerea, provoca un aumento di citochinine che verranno trasferite per via xilematica alla parte aerea, determinando così un maggiore sviluppo vegetativo e una crescita delle gemme laterali, che consentiranno di “smaltire” l’eccesso delle risorse assorbite per via radicale.
L’energia necessaria per la crescita e il metabolismo radicale proviene dall’attività fotosintetica. Durante i primi anni di vita del vigneto la crescita radicale può essere rallentata se l’approvvigionamento in zuccheri è insufficiente (precoce entrata in produzione, scarsa presenza di foglie, produzioni eccessive, ecc.). I ricercatori stimano che le viti allocano dal 30 al 60% del prodotto fotosintetico alla crescita delle radici.
Su una vite matura la superficie delle radici è stimata intorno ai 100 m2, rispetto ai 10 m2  di superficie fogliare. Mentre la maggior parte delle "radici fini", che assorbono acqua e sostanze nutritive, sono concentrate nel metro più alto di terreno, una parte delle radici può crescere a grandi profondità (fino a 30 m) ed estendersi per diversi metri dalla base della vite.
Le viti tentano di mantenere un rapporto radice/parte aerea entro un intervallo ragionevole, e lo sviluppo della pianta è altamente correlato con la dimensione del sistema radicale.
Un momento fondamentale per “stimolare” lo sviluppo delle radici è quello dell’impianto del vigneto. Numerosi studi hanno dimostrato che errori fatti in questa fase, in relazione all’apparato radicale, compromettono tutta la vita futura della vigna, sia nella qualità della produzione che nella longevità dell’impianto.
Il modo in cui si piantano le viti influisce sulla crescita delle radici e sulla loro distribuzione per tutta la vita del vigneto. Sistemi di scavo che compattano troppo la terra sui lati e sul fondo creano come delle piccole “gabbie” da cui le radici non riusciranno più a svilupparsi. La riduzione radicale si riflette anche in una crescita debole fuori terra. Sono anche rilevanti: a) la profondità dello scavo (se poco profondo, la vite muore spesso per essicamento; se troppo profondo viene inibita la crescita delle radici verso il basso), b) buchi troppo piccoli, c) tagli eccessivi delle radici delle barbatelle, d) la distribuzione delle radici nella buca di scavo, ecc.
Tutte le fasi dei lavori nel vigneto hanno un effetto sulle radici, anche se gli studi non sono numerosi. Ad esempio, più il sistema di allevamento è espanso più le radici tendono ad una colonizzazione intensa del suolo per soddisfare le maggiori esigenze della chioma, con il risultato di una eccessiva vigoria. Studi sulla relazione fra potatura e apparato radicale hanno dato risultati abbastanza contrastanti. Sembra che l’apparato radicale sia più stimolato a crescere con potature medie. L’effetto sembra negativo sulle radici con i due estremi: potature troppo severe o, viceversa, con carichi di gemme troppo elevate. La parziale sfogliatura sembra comportare dei benefici sulla crescita radicale e lo sviluppo, in particolare delle radici sottili. Deve però essere ben calibrata per la situazione climatica. Se fatto troppo presto o troppo intensamente diminuisce invece la densità delle radici, anche di quelle più spesse.
In generale si è visto che con l’aumento della fittezza di impianto della vigna si ha una diminuzione della massa radicale per ogni vite (come atteso). Si è visto anche che aumentando la fittezza si ha, in genere, un aumento della densità delle radici, soprattutto nei profili più profondi del suolo, con un uso migliore del volume disponibile. Aumentando però troppo la fittezza questo effetto positivo decade, con una riduzione del vigore, che può diventare eccessivamente penalizzante sulla qualità dell’uva. Inoltre, con densità di impianto troppo elevate le risorse del suolo si possono consumare troppo velocemente, prima del termine della stagione di crescita, soprattutto nei terreni più aridi e poveri. La scelta della densità di impianto dovrebbe, quindi, essere determinata dalla potenzialità del terreno di indurre la crescita vegetativa.
La scelta della lavorazione (con quale frequenza, profondità e dove farla) è legata ad ogni situazione specifica. La lavorazione ha comunque un’azione distruttiva inevitabile sulle radici dello strato lavorato. La potatura radicale è molto discussa nella sua utilità. Se fatta male, troppo profonda o troppo frequente, ha un’inevitabile ripercussione limitante sulla crescita della pianta. Se fatta in modo leggero può causare un leggero stress della vite che aumenta la qualità dell’uva. Inoltre, sembra che spinga le radici a colonizzare parti di suolo fino a quel momento inesplorate. In generale, rispetto al passato, oggi si evitano le lavorazioni profonde, che rovinano comunque troppo l’apparato radicale, e quelle continue. Oltre all’effetto distruttivo sulle radici, compattano troppo il suolo per i numerosi ingressi con i mezzi.
Le radici che più subiscono le influenze delle lavorazioni sono quelle superficiali, che di norma stanno fra i 7,5 e i 25 cm di suolo. Poiché nel periodo che intercorre tra il germogliamento e la fine della fioritura l’allungamento dei capillari radicali è al suo massimo, è importante, in condizioni normali, evitare le lavorazioni del terreno, soprattutto se profonde. Le lavorazioni del terreno, salvo condizioni particolari, dovrebbero essere eseguite quando l’attività di sviluppo dei capillari radicali è ridotta, ovvero nel periodo invernale, fino a 2–3 settimane prima dell’ipotetico risveglio vegetativo della coltura, oppure in seguito, quando la fioritura è del tutto conclusa. Una lavorazione più profonda del terreno, invece, può essere necessaria per intervenire sull’apparato radicale di piante stressate dalla presenza di nematodi o da eccessi idrici che possono provocare asfissia e compattazione.
Numerosi studi hanno mostrato come le diverse gestioni del suolo agiscono su di esse. Le radici più superficiali si mantengono in un suolo gestito con i diserbanti o con la pacciamatura, mentre sono assenti quando il terreno è lavorato o coperto di erba in crescita, per un effetto di competizione. Possono diminuire in ogni caso col suolo nudo, perché è più sottoposto alle fluttuazioni di temperatura e all’eccessiva secchezza. Comunque, nei diversi modi di gestire il suolo ci sono conseguenze sulle radici che possono diventare vantaggi o svantaggi a seconda della propria situazione pedo-climatica. Se non conosciamo come è fatto il suolo sotto di noi, non possiamo scegliere la gestione migliore per i nostri vigneti. Ad esempio, l’inerbimento limita le radici della vite negli strati più superficiali del suolo, ma può stimolare positivamente l’esplorazione di quelli più profondi. Si tratta però di un vantaggio solo se il suolo è realmente profondo e se questi strati sono utilizzabili dalle radici.