Carenza di acqua in estate e acqua “persa” in inverno, un circolo “vizioso” che si può interrompere

di Silverio Pachioli
  • 09 March 2022

Le ultime stagioni estive sono state sempre caratterizzate dal medesimo problema: quello della carenza idrica nei nostri campi.
Ogni singolo agricoltore, in questo contesto, può assumere, contemporaneamente, il ruolo di “vittima” o “artefice”.
Se l’acqua è un bene prezioso e non bisogna sprecarla, questo vale anche per quella che viene giù dal cielo e finisce/non finisce nei nostri appezzamenti coltivati.
Senza entrare nelle solite discussioni sul cattivo uso/abuso civile e industriale, sarà invece molto più interessante riprendere i nostri libri di agronomia per cercare di capire come tesaurizzare l’acqua piovana nei campi, sia durante la stagione estiva che autunno-invernale.
Spesso, sia gli agricoltori come operatori, sia i tecnici come consulenti, dimenticano che il terreno/appezzamento è un “contenitore” capace di accumulare, se di buona struttura, elevati quantitativi di acqua piovana. Le radici delle piante arboree, se non trovano impedimenti di natura chimica, meccanica, ecc., possono svilupparsi anche a profondità di 2-3 metri, insediandosi così in un serbatoio di suolo capace di immagazzinare quantitativi di acqua che, nei terreni di medio impasto, possono raggiungere valori di 4.000-5.000 m3 ha-1.
Per poter favorire il massimo accumulo di acqua in questo serbatoio è fondamentale una gestione del suolo oculata, con l’obiettivo non solo di migliorare la fertilità chimica e microbiologica e il contenuto di sostanza organica, ma anche la sua struttura e le sue caratteristiche idrologiche (Xiloyannis et. al. 2012).
Appare evidente come la gestione agronomica dei terreni, invernale ed estiva, possano permettere un notevole accumulo di acqua e di limitare le perdite per evaporazione, ruscellamento, ecc.
Tralasciando gli argomenti di inerbimento e sostanza organica, ampiamente “richiamati” in ogni occasione in cui si parla di gestione del suolo, sembra interessante approfondire il discorso sul compattamento dei terreni, che risulta uno dei principali “indiziati” del mancato accumulo di acqua e, di conseguenza, delle perdite.
Il compattamento del terreno nei vigneti-frutteti sta diventando, negli ultimi tempi, una problematica piuttosto grave, soprattutto nei terreni argillosi. Le cause di questo fenomeno sono complesse e tipiche di un’agricoltura specializzata e altamente meccanizzata.
La compattazione può essere definita come “la compressione delle particelle del suolo in un volume minore a seguito della riduzione degli spazi esistenti tra le particelle stesse”. Di norma si accompagna a cambiamenti significativi nelle proprietà strutturali e nel comportamento del suolo, nonché del suo regime termico e idrico, nell'equilibrio e nelle caratteristiche delle fasi liquide e gassose che lo compongono.
Una delle cause principali del compattamento è il ripetuto passaggio delle macchine; ormai tutte le operazioni di tecnica colturale sono compiute a macchina, per cui nelle interfile si passa almeno 20 volte in un anno con il trattore, con le macchine operatrici e le vendemmiatrici; poiché le file sono strette (m 3 nelle controspalliere e m 4 nel GDC), le tracce fatte dalle macchine sono vicine alle piante.
Per fare alcuni esempi, la pressione esercitata da una macchina vendemmiatrice può arrivare a 280 kPa; quella di un trattore equipaggiato da atomizzatore da 800 litri circa 100 kPa. Il rischio di compattamento, in condizioni di umidità, si può avere a partire da valori da 70-80 kPa. A titolo di comparazione, l’impronta di un uomo con un piede di 30 cm*10 (600 cm2) esercita una pressione al suolo di 0,17 kg/cm2 per 100 kg (100 kPa=1 kgcm-2).
Altro motivo di compattamento è causato dalla diminuzione di sostanza organica nel suolo per la minor disponibilità di letame e di altri materiali organici; questo però non si verifica dove si mantiene inerbito il terreno e si trinciano le erbe piuttosto mature. Sono dannose anche le lavorazioni fatte in momenti sbagliati, esempio quando il terreno è bagnato, con attrezzature non adatte e in numero eccessivo.
Questi fenomeni comportano una riduzione dei pori nel terreno (macropori), formando una massa compatta dove l’aria e l’acqua circolano con difficoltà; diminuisce, quindi, la permeabilità con facilità di ristagno idrico nei periodi piovosi. Le radici delle piante sono quindi in difficoltà ad assorbire acqua ed elementi nutritivi (la nutrizione delle piante è discontinua e insufficiente).
La vegetazione della pianta ne risente, con conseguente diminuzione di produzione e maggior sensibilità alle avversità. Le caratteristiche chimico-fisiche del suolo hanno una notevole influenza sul grado di compattazione.
Non è certo facile intervenire per eliminare l’inconveniente del compattamento del terreno, anche se possono aiutare l’apporto al terreno di sostanza organica, i passaggi quando il terreno è in tempera (ossia né troppo secco né troppo umido) e, nei momenti piovosi, l’impiego di macchine e attrezzi leggeri.
Il decompattamento post-raccolta si effettua con un ripuntatore-arieggiatore a 2-3 ancore, passando tutte le file (nei terreni difficili-argillosi- e molto compattati) o a file alterne, in corrispondenza delle carreggiate, alla profondità di circa 40-50 cm.
Questo intervento meccanico favorisce l’espansione delle radici verso il centro del filare in modo da assicurare una maggiore autosufficienza idrico-nutrizionale. L’operazione deve essere fatta, per un vigneto, in post-vendemmia, poiché in questo periodo l’apparato radicale si rigenera velocemente. Il decompattamento può essere utile anche in regime di inerbimento per ridurre/evitare dannosi effetti “tappo” del cotico erboso, così da migliorare l’infiltrazione dell’acqua.
In definitiva, le conoscenze agronomiche non si possono né delegare, né ignorare, ma bisogna conoscerle e utilizzarle bene per affrontare, in modo serio e responsabile, i grandi cambiamenti climatici che saranno, sempre più spesso, “compagni di viaggio” dell’agricoltore.