Perché beviamo vino e la teoria della “Scimmia ubriaca”

Il Parlamento Europeo ha votato da pochi giorni a favore degli emendamenti che escludono gli avvertimenti sanitari sul cancro nelle etichette del vino: ecco un approfondimento sull’evoluzione del consumo umano di alcolici dalla Preistoria ad oggi.

di Giovanni Ballarini
  • 23 February 2022

Dai tempi preistorici i popoli della Fertile Mezzaluna e del Mediterraneo bevono vino e birra, come altri popoli bevono sidro, pulque, chicha, sake e tante altre bevande alcoliche che le culture di ogni popolo hanno sviluppato partendo da vegetali fermentescibili. La nostra specie è però l’unica, almeno secondo le attuali conoscenze, che ha imparato a produrre bevande alcoliche. Fino a circa diecimila anni fa il consumo di bevande alcoliche sembra essere stato fortuito ed episodico e l’uomo del Paleolitico avrebbe avuto assaggi occasionali traendo piacere dall’alcole contenuto nel miele, datteri o linfa di alcune piante ricche di elementi zuccherini fermentati in modo naturale. Diversamente dagli animali che sono attratti da alimenti contenenti alcole, la nostra specie inizia anche a coltivare vegetali, soprattutto cereali ma anche frutti, che fermentati producono bevande alcoliche, tanto che è stata formulata l’ipotesi che l’alcole sia stato la molla che ha dato origine all’agricoltura e a tecniche di produzione di bevande alcoliche, come il vino. Ma da dove deriva questa attrazione per l’alcole? Possiamo ritenere che l’alcole in quantità moderate faccia parte della nostra naturale alimentazione dando anche una spiegazione alla costante presenza di bevande alcoliche in ogni cultura umana? Domande che hanno stimolato ricerche iniziate soprattutto in questo secolo dando origine anche alla Teoria della Scimmia Ubriaca di Robert Dudley (Dudley R. - The Drunken Monkey: Why We Drink and Abuse Alcohol - University of California Press, 2014) e più recentemente a una revisione scientifica del problema dello stesso Dudley (Robert Dudley, Aleksey Maro - Human Evolution and Dietary Ethanol – Nutrients, 13 (7), 2419, 2021).
Secondo la Teoria della Scimmia Ubriaca la nostra attrazione per l'alcole (etanolo) deriva da un legame evolutivo tra gli zuccheri della frutta matura, la fermentazione alcolica associata al lievito e il conseguente consumo da parte dei nostri più antichi antenati umani con un’alimentazione che conteneva frutta. Proposta per la prima volta all’inizio di questo secolo, questa idea riceve una crescente attenzione dai campi della biologia sensoriale animale, dell’alimentazione e dell'evoluzione molecolare, con la comparsa di molte pubblicazioni scientifiche che riguardano soprattutto le tendenze della ricerca, indicando l'alcole (etanolo) come un costituente naturale nella dieta nei primati e in altri animali. Da queste ricerche emerge l'attrazione e il consumo di frutti fermentanti da parte di numerosi vertebrati e invertebrati (ad esempio il moscerino della frutta Drosophila melanogaster) e si hanno prove geno-miche di una selezione naturale in rapporto alla esposizione per decine di milioni di anni all'alcole alimentare in diversi gruppi di animali, tra questi anche gli ominidi e il genere Homo.
I primati si sono diversificati, circa quarantacinque milioni di anni fa, come gruppo essenzialmente frugivoro, mentre la capacità di digerire l’alcole sembra sia emersa dieci milioni di anni fa, quindi ben prima della comparsa della nostra specie. Inizialmente i nostri antenati avrebbero acquisito la capacità di sentite l’odore dell’alcole e quindi individuare la frutta caduta con il vantaggio di alimentarsi anche di frutti in fermentazione, e poi di non risentire effetti negativi dall’alcole, anzi sfruttandone le proprietà energetiche. La frutta molto matura caduta a terra, potenzialmente tossica, diviene un’abbondante fonte di cibo per chi ha la possibilità di non subire conseguenze derivanti dalla sua ingestione. La capacità degli ominidi di metabolizzare l’alcole (etanolo) si correla a modificazioni genetiche ereditarie che troviamo diverse nelle popolazioni umane moderne e che riguardano due enzimi conseguenza di mutazioni genetiche: l'alcol deidrogenasi (ADH) e l'aldeide deidrogenasi (ALDH). In particolare l'ALDH ad azione lenta è presente in alte frequenze negli esseri umani dell'Asia orientale e produce accumulo tossico di acetaldeide a seguito del consumo di etanolo, con una correlata con la propensione all'alcolismo per alcune popolazioni. Inoltre i livelli enzimatici variano con l’età (bassi nei primi anni di vita) e con diverse condizioni sanitarie, diminuendo anche con insufficienze e patologie epatiche. Inoltre un'esposizione ad alti livelli di etanolo alimentare può comportare cambiamenti significativi nel microbioma intestinale con ancora ignote conseguenze nell’uomo.
Processi naturali in grado di produrre sostanze contenenti alcole esistono sul nostro pianeta da milioni di anni e il nostro genoma con geni specializzati per il trattamento dell'alcole documenta come la nostra specie da tempi immemorabili è a contatto con l’alcole. Lo studio evolutivo dell’alcole (etanolo) in alimentazione umana è agli inizi, ma alcuni elementi sono già sufficientemente chiari. Il primo è che l’alcole presente in alimenti fermentati fa parte della nostra alimentazione, tanto che la selezione naturale ci ha dotati di un comportamento di ricerca e di enzimi specifici d’utilizzazione, in questo modo rispondendo positivamente alle domande iniziali. Allo stesso tempo emerge che noi siamo geneticamente predisposti a limitate introduzioni alimentari di alcole, come si hanno in alimenti vegetali fermentati, ma non a alte quantità di alcole ottenuto per distillazione e soprattutto per queste è necessario un consumo moderato e responsabile. Specialmente oggi sappiamo anche quanto sia naturale bere il succo d’uva fermentato (vino) come facevano i nostri progenitori di dieci milioni d’anni fa quando raccoglievano un grappolo d’uva caduto a terra, fermentato e individuato dal profumo dell’alcole e segnalato dai moscerini anche loro avidi di alcole (Drosophila melanogaster).