I Distretti del Cibo per una politica dei luoghi e per il benessere dei cittadini

di Daniela Toccaceli
  • 24 November 2021

La Giornata di Studio sui Distretti del Cibo del 18 novembre ha analizzato in profondità la loro mission come strumenti di politica di sviluppo rurale ed ha evidenziato con puntualità i passi ancora da compiere per potenziarli, attraverso la ricerca dell’Osservatorio Nazionale istituito dal Centro Studi GAIA.
Ma quale importanza rivestono questi distretti per il cittadino-consumatore?
Poiché stiamo parlando di politiche incentivanti, dunque di contributi pubblici, la domanda è più che doverosa e la risposta deve essere puntuale.
Anzitutto occorre dire che cittadino-consumatore è una categoria astratta dal luogo specifico. Si tratta del cittadino italiano, europeo, certamente consumatore, certamente contribuente. Parlare di distretti vuol dire invece parlare anzitutto di luoghi, di terre rurali che hanno caratterizzazioni molteplici e tanto diverse da sfuggire alle tipizzazioni. Teniamo tuttavia come buon punto di riferimento lo studio sulle aree interne, che ci ha consegnato un’immagine profonda dei solchi che marcano le distanze tra centri e periferie del Paese, misurate in facilità di accesso ai servizi di cittadini-localizzati. 
Focalizzare l’attenzione sulla rilevanza dei distretti per le diverse categorie di cittadini-localizzati, rende subito evidente quale sia l’importanza per i cittadini delle aree rurali, che sono cittadini sia produttori, sia consumatori. Le finalità che il Legislatore assegna ai Distretti del Cibo sono quelle più alte e complete della politica di sviluppo rurale e puntano allo sviluppo sostenibile dei territori rurali. Rispetto a questo obiettivo i distretti rappresentano un metodo di governance che coinvolge in pieno sia le imprese agricole, le loro forme organizzate, imprese degli altri settori e le istituzioni. Che cosa vuol dire in concreto? Solo per fare un esempio semplice, vuol dire che fare impresa in un’area dove il telefono cellulare “prende” a macchia di leopardo è un problema, non solo per le imprese ma per i cittadini tutti. Vuol dire che pensare il commercio elettronico delle produzioni da certe aree remote dai centri maggiori, può significare non avere servizi dalle società di spedizione. E allora siamo, sì, nel XXI secolo e tutto si fa per internet … ma non per tutti, non in ogni luogo. E da un’area con tali caratteristiche è anche difficile mandare quotidianamente i figli alla scuola superiore, o perfino a quella dell’obbligo.
La politica di sviluppo rurale di ispirazione autentica è politica dei luoghi (non dei localismi, ovviamente!). I distretti sono strumenti validi per la politica di sviluppo dei luoghi perché sono un modo di tenere insieme, in una visione unitaria, esigenze e obiettivi di imprese e cittadini, perché hanno la mission dello sviluppo sostenibile, di conservare e valorizzare gli asset del capitale territoriale che ogni luogo, nel suo specifico, riceve in dote per riconsegnarlo a sua volta.
Secondo le previsioni più accreditate, da qui al 2050 la popolazione mondiale sarà sempre più coinvolta in processi di inurbamento, e il costante spopolamento delle nostre aree rurali più marginali ne dà la conta e ritma i fallimenti parziali di una politica che cede il passo ai fallimenti di mercato.
In realtà è artificiosa la separazione tra i luoghi della produzione e i luoghi del consumo dei prodotti agroalimentari come separazione tra grandi agglomerati e campagna. Il DAM, Distretto Agricolo Milanese, il Distretto del Cibo dell'area Metropolitana di Bari, altri distretti sorti o in via di costituzione nelle cinture delle maggiori città italiane ne sono esempi eloquenti. Ben lungi dall’essere meri contenitori di amenities,  i territori rurali sono interlocutori deboli per un nuovo disegno di relazioni tra città e campagna, e si confrontano con un quadro istituzionale più rarefatto che in passato. Il metodo di governance dei Distretti del Cibo può dare forza a questi territori e fornire alcune risposte concrete ad una istanza così profonda e di prospettiva per modellare il futuro e non lasciare che sia modellato dai fallimenti di mercato. 
Dobbiamo infine chiederci quale vantaggio possano portare i distretti al cittadino-consumatore delle città. Questo tipo di domanda sposta il ragionamento sui vantaggi soggettivi che questa categoria può trarre dal rafforzamento e qualificazione delle filiere agroalimentari, attraverso la progettazione integrata dei distretti. Restano tra gli obiettivi immutati della PAC l’assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori e garantire un equo tenore di vita alla popolazione agricola. I Distretti del Cibo, alla scala di organizzazione tra imprese – in questo caso di imprese agroalimentari in particolare – permettono una riorganizzazione dei rapporti di filiera rafforzando o creando nessi prima deboli o inesistenti. È questo uno degli obiettivi che intende esplorare l’indagine avviata dall’ Osservatorio sui Distretti del Cibo. A determinate condizioni, l’organizzazione più efficiente della filiera potrebbe tradursi in prezzi più bassi per i consumatori finali, laddove il passaggio tra produzione e consumo fosse immediato, ma per lo più così non è.  Restano tuttavia altri vantaggi “incorporati” nel cibo prodotto all’interno di filiere meglio organizzate o più sostenibili. Attraverso la progettazione integrata – e in particolare seguendo politiche incentivanti agli obiettivi di sostenibilità e innovazione - le imprese agricole migliorano l’accesso a tecniche innovative, con uso ridotto dei fattori critici, avvio di percorsi di economia circolare, perseguono il disegno di aree produttive dove gli obiettivi ambientali non sono pure condizionalità imposte, ma standard voluti per il territorio in cui vivere e lavorare. Allora il cibo prodotto è più salutare, oltre che più equo.
Arriviamo dunque all’intreccio di due profili, quello soggettivo e quello dell’equità, che non possono essere separati attraverso il filtro dell’emozione dell’individuo. Accanto al profilo soggettivo del maggior benessere individuale, occorre porre con pari peso quello dell’equità tra cittadini-consumatori delle città e cittadini-produttori che operano per lo più in aree “a cittadinanza differenziata”, con accessi più difficoltosi ai servizi di base (scuola, salute, comunicazione). Occorre includere nel ragionamento la direttrice della coesione che deve tenere insieme la comunità nazionale ed europea, attraverso politiche dei luoghi.