Spreco alimentare, inganno della bellezza

di Giovanni Ballarini
  • 15 September 2021

Secondo Claude Lévi-Strauss (1908 – 2009) animali e vegetali non diventano cibi in quanto «buoni da mangiare» ma perché «buoni da pensare». Non siamo più quello che mangiamo, ma quello che vorremmo essere e come gli animali che gli antichi sacrificavano agli dei dovevano essere perfetti, così è anche per noi oggi, nuovi divinità del moderno consumismo, i cibi che desideriamo devono essere senza macchia, belli e non brutti, perché non servono tanto a soddisfare i bisogni del corpo o i capricci della gola, quanto a nutrire il nostro immaginario, a quietare la nostra coscienza, ad avvicinarci all'immagine edulcorata che coltiviamo di noi stessi. L'intreccio tra il buono da vedere che diventa buono da mangiare, tra ciò che pare bello e quel che riteniamo buono, non è una novità ma è plurisecolare. Fin dall’antichità il bello da mangiare era riservato solo ai banchetti dei pochi ricchi, oggi invece coinvolge tutta la società perché gli alimenti brutti sono tacciati di non qualità e sollevano dubbi di sicurezza, e la percezione del bello è divenuto uno degli assi d’espansione del mercato alimentare nel quale la visione del cibo ha la funzione stimolante e invitante all’acquisto, anteponendo l'estetica alla tecnica, la fotogenia alla gastronomia, l'intrigo della stupefazione al responso del gusto, e quando la cucina si è trasformata in una branca della moda che esiste in una costante ricerca di un’effimera bellezza (L. Vercelloni – Viaggio intorno al gusto – L’odissea della sensibilità occidentale dalla società di corte all’edonismo di massa – Eterotopie Mimesis, Milano 2005).
Una mela ammaccata, un pomodoro con un taglio superficiale sulla buccia, un limone tozzo, una pera tondeggiante, una carota con alcune propaggini, una patata che non ha la solita forma, un frutto, una verdura o un ortaggio che non brillano, sono brutti e vengono scartati. Non è l’Unione Europea che avrebbe imposto la dimensione o la forma dei cetrioli, come dice una nota falsa notizia, ma è il consumismo commerciale che ha richiesto queste normative per agevolare i commerci usando la bellezza del cibo come strumento di vendita. La concezione edonistica della bellezza del cibo sfruttata dall’imperante consumismo, è una subdola, poco o per niente percepita causa di spreco alimentare che colpisce particolarmente alcuni comparti fragili, come quello dei vegetali e soprattutto della verdura e frutta fresca, dove la merce deve essere perfetta non solo d’aspetto, colore, senza alcuna macchia, ma anche di forma e taglia.
Spreco alimentare è quello appropriato per l’alimentazione umana che è scartato o lasciato deperire nell’ultima parte della filiera alimentare, a livello di consumo finale, a prescindere dalle cause che li hanno determinati. Secondo alcune indagini il paese dove lo spreco di prodotti agricoli poco attraenti è più alto è la Gran Bretagna, dove l’associazione Global Food Security ha calcolato che il quaranta per cento dei prodotti agricoli coltivati nel paese britannico non arrivano neanche a destinazione perché poco accettabili dal punto di vista estetico e ogni anno quattro milioni e mezza di tonnellate di frutta, verdura e ortaggi finiscono nella spazzatura. In Europa cinquanta milioni di tonnellate sono gli alimenti d’origine vegetale che sarebbero eliminati per motivi estetici in tutta Europa, in prima fila carote e patate con circa il dieci per cento del totale. Anche l’Italia vi è l’abitudine di scartare gli alimenti vegetali e soprattutto la frutta considerati poco accettabili dal punto di vista estetico e brutta, con un grande spreco. Per fortuna ora non mancano iniziative con le quali informare il consumatore e offrigli alimenti esteticamente non perfetti zare a prezzi contenuti, a volte inferiori del trenta e perfino cinquanta per cento rispetto a quelli senza anomalie di forma, dimensione, colore e altre caratteristiche estetiche che non influiscono sulla bontà dell’alimento, senza automaticamente cadere all’opposta, nuova equazione, che più brutto è  più buono, in quanto sarebbe prodotto senza additivi chimici, senza pesticidi e con metodi biologici molto rigorosi.