Il piacere dei cibi piccanti

di Giovanni Ballarini
  • 01 September 2021

Quando si nasce si cerca sicurezza e conforto e per questo i cibi devono essere dolci, caldi, morbidi e bianchi come il latte materno. Cibi amari o piccanti, duri e scuri, se non neri, sono un indicatore di pericolo e da evitare. Man mano che il bambino cresce, inizia l’interesse per la scoperta del mondo e con questo anche il piacere del rischio e della paura, in una ricerca che riguarda anche il cibo. Cibi nuovi e con sapori che se non sono ben dosati possono dare una sensazione sgradevole anche di dolore, segnano l’inizio di un’indipendenza e di una maturità nella quale il gusto del piccante dei cibi e dell’amaro nelle bevande divengono fonti di piaceri, primo dei quali una raggiunta maturità e un dominio e superamento di un dolore, peraltro sicuro, limitato e soprattutto transitorio. Costatazione comune è che, quando si è raggiunta una maturità psicologica, gli uomini amano andare sulle montagne russe, praticare sport estremi da brivido come lanciarsi con il paracadute, leggere racconti o romanzi polizieschi e noir, guardare film horror. In modo analogo, quando si è raggiunta una maturità alimentare, gli uomini iniziano a mangiare e ad apprezzare cibi che procurano un limitato e transitorio dolore e un senso di pericolo, come sono i cibi piccanti, che danno un piacere non tanto del rischio, quanto di una paura che è controllata e soprattutto dominata.
Molte sono le spezie piccanti e tra queste vi è il pepe, il peperoncino, la senape, il rafano, lo zenzero e altri vegetali che stimolano le mucose della bocca e a dosi ridotte provocano sensazioni d’irritazione e caldo, a dosi più elevate dolore. La senape bianca e la senape nera provocano anche una stimolazione delle mucose dell’occhio con lacrimazione e delle mucose del naso con aumento delle secrezioni e da qui la frase “mosca al naso” errata traduzione dal francese di moutarde au nez. Queste spezie stimolano i ricettori della mucosa orale e attraverso la branca buccale del nervo trigemino mandano un segnale d’allarme per avvertire che il palato sta “bruciando” e anche le mucose nasali e oculari rispondono aumentando la secrezione e la lacrimazione. Le stimolazioni sono inviate anche al cervello che le elabora in base alle sue memorie antiche e recenti.
Molte persone provano gusto, se non piacere a mangiare cibi piccanti. Oltre quanto studiato e sostenuto da diversi psicologi, tra questi anche lo psicologo americano Paul Rozin, bisogna precisare che agli uomini adulti piace godere di situazioni nelle quali il loro corpo manda segnali d’allarme, mentre sanno che in realtà non vi è un reale pericolo e per piacere, anche i cibi che danno segnali di pericolo devono essere sicuri. Complesso è quindi il rapporto tra uomo e cibo piccante e va studiato nella prospettiva della storia evolutiva dell’uomo, la cosiddetta alimentazione darwiniana.
Le conoscenze antropologiche spiegano come la nostra specie ha iniziato a mangiare cibi dal sapore non gradevole, ma non ci dice come mai ci piacciano cibi che sono, in sostanza, dolorosi (spezie) o sgradevoli (amari) da mangiare. Paul Rozin considerato un esperto del disgusto e sella psicologia nelle scelte alimentari umane, ha studiato le nostre abitudini alimentari con una serie di studi sul campo per capire cosa vi è dietro il gusto apparentemente paradossale per il cibo piccante (Rozin, P. - Why We Eat What We Eat, and Why We Worry about It - Bulletin of the American Academy of Arts and Sciences, 50 (5) 1997). Viaggiando in Messico, dove i residenti hanno una dieta molto piccante, Rozin ha messo a confronto la loro tolleranza ai cibi piccanti con quella dei nordamericani che hanno abitudini alimentari meno estreme. Il risultato è che i messicani hanno una tolleranza al piccante superiore, anche se di pochissimo, ma il livello di piccantezza che entrambi i gruppi apprezzano di più è quello appena sotto la soglia del dolore intollerabile. Rozin conclude che nella ricerca e apprezzamento del piccante, il dolore è parte essenziale del fenomeno ed entra nella misura nella quale le persone si spingono a un limite, ma senza superarlo. Questa ricerca del limite è spiegata dal fatto che nel cervello umano le aree del piacere e del dolore sono molto vicine e una volta entrate in funzione attivano altre parti molto vicine dove ha sede la coscienza superiore. Infine, l’amore per il cibo piccante è la conseguenza di un’interazione tra le aree vicine del cervello che controllano il dolore, il piacere e la coscienza, ma soprattutto una conseguenza di un rapporto tra questi tre elementi. In questa interazione, la sensazione di dolore e pericolo, confusa con il piacere, si accompagna alla consapevolezza che in realtà il palato non sta andando a fuoco e che il tutto è sotto controllo, anzi è un segno che di un proprio potere di controllo. A tutto questo si aggiunge al fatto che la sensazione dolorosa sparisce rapidamente, dando origine al piacere di una guarigione, di una liberazione, di un sollievo. Una condizione che ricorda tra l’altro il piacere che si ha dopo una fatica. Da un processo quasi masochista e autolesionista, nel quale il cervello in qualche misura è ingannato, una rapida realtà dolorosa, ma innocua, scatena un piacere. Non è questa l’unica attività umana in cui si verifica questo fenomeno perché molte persone amano la paura e l’eccitazione prodotte da situazioni di pericolo simulato, ma controllato e quindi ritenuto sicuro, che spiega il successo in tutte le culture dei cibi piccanti!