In Tunisia un sistema unico di coltura su sabbia è minacciato dai cambiamenti climatici

  • 12 May 2021

Patate, lattuga e cipolle crescono su appezzamenti sabbiosi in riva al mare: in un villaggio nel nord della Tunisia, gli agricoltori tentano di preservare una tecnica  di  irrigazione  ancestrale  ma  delicata,  dall'importanza  crescente  a  fronte  delle carenze idriche. "Non è una terra che coltiviamo a scopo di lucro, ma per arte e piacere", afferma Ali Garci, un insegnante in pensione di 61 anni, che lavora un ettaro di terreno ereditato  dalla  sua  famiglia  a  Ghar  el  Melh,  villaggio  di  pescatori  situato  a  una sessantina di chilometri da Tunisi. I  "ramlis",  questi  appezzamenti  sabbiosi  creati  nel  XVII  secolo  dalla  diaspora andalusa per compensare la mancanza di terra coltivata e di acqua dolce, si estendono su circa 200 ettari. Lo scorso anno sono stati inseriti nell'elenco del patrimonio agricolo mondiale  dall'Organizzazione  delle  Nazioni  Unite  per  l'alimentazione  e  l'agricoltura (FAO),  che  li  considera  "unici  al  mondo".  Un  modo  per  incoraggiare  circa  300 agricoltori  a  prendersi  cura  di  questo  patrimonio  in  via  di  estinzione,  mentre  pochi giovani sono pronti a subentrare. Tra mare e scogliere, la costa mediterranea di Ghar el Melh è delimitata da lagune di acqua salata. L'acqua piovana scorre dalle colline ai terreni sabbiosi che circondano le lagune, dove rimane intrappolata sopra uno strato di acqua salata. Gli ortaggi piantati affondano le radici in quel sottile strato di acqua dolce che due volte al giorno risale nella sabbia, sospinta dalle maree. "È come se il mare allattasse i suoi piccoli", spiega Abdelkarim  Gabarou, che  pratica  la  coltura  su  sabbia  da  quarantasei  anni.  Per proteggerli dal vento e dall'erosione, gli appezzamenti sono protetti da cannicci e sono larghi al massimo quattro metri. Questo sistema permette di coltivare tutto l'anno, senza irrigazione  artificiale  e  senza  attingere  alle  riserve  naturali,  producendo  fino  a  20 tonnellate per ettaro. Le verdure hanno la reputazione di avere un gusto particolare e sono molto richieste, ma  non  sono  valorizzate  con  una  denominazione  particolare,  si  rammaricano  gli agricoltori. Vendono i loro prodotti localmente ma anche a Tunisi, agli stessi prezzi di quelli coltivati in terra.
"Siamo totalmente dipendenti dall'acqua piovana, che ci sostiene. Stiamo cercando di preservarla nel modo più naturale possibile", spiega Ali Garci. I contadini di Ghar el Melh vivono così nella costante preoccupazione di preservare questo "fragile" sistema, minacciato in particolare dai cambiamenti climatici, che accentuano l'irregolarità delle precipitazioni e innalzano il livello del mare. Affinché  le  radici  di  cipolle,  lattuga  o  barbabietole  raggiungano  l'acqua  dolce  ma non quella salata, lo strato di sabbia deve essere esattamente di 40 cm.  L'innalzamento del  livello  del  mare  rischia  quindi  di  interrompere  questo  sistema  naturale,  osserva Raoudha Gafrej, esperta di risorse idriche e cambiamenti climatici. La zona, apprezzata dai vacanzieri per il suo lungo cordone di sabbia bianca tra la laguna e il mare e i suoi rilievi  boscosi,  è  anche  soggetta  a  una  notevole  pressione  immobiliare.  La  sua conservazione  è  molto  importante  poiché  la  protezione  delle  tecniche  di  irrigazione tradizionali è un'arma per combattere la crescente scarsità di acqua in Tunisia. Questo "sistema  ingegnoso  non  rappresenta  una  vasta  area"  e  non  potrebbe  essere  copiato altrove, "ma dobbiamo preservarlo perché il paese ha bisogno di ogni goccia d'acqua", sottolinea Gafrej.
La FAO stima che la Tunisia disponga di 403 m3 di acqua pro capite all'anno, ben al di sotto della soglia di 1.000 m3 di acqua rinnovabile necessaria affinché un sistema di irrigazione sia sostenibile. L'agricoltura irrigua alimenta l'80% delle risorse idriche del  paese.  Sull'isola  di  Djerba,  fulcro  del  turismo  di  massa  che  deve  far  fronte  a frequenti interruzioni idriche in estate, una ONG ha ristrutturato circa quindici vecchi bacini  destinati  allo  stoccaggio  dell'acqua  piovana,  che  viene  poi  distribuita  ai  più disagiati. "Dobbiamo mettere radici in questa cultura della conservazione dell'acqua", sostiene Gafrej.

da Agrapress, Rassegna della stampa estera n. 13805, 29/4/2021