Pratiche sleali, ultimo giro di boa. Compromesso onorevole, adesso spetta alla politica

di Lorenzo Frassoldati*
  • 10 March 2021

Sulle pratiche sleali arriva l’intesa tra la Distribuzione moderna (DM) e il mondo agricolo, dopo quella tra DM e industria del Largo Consumo (Federalimentare, Centromarca  ecc).  L’intesa di adesso integra e completa doverosamente quella dello scorso novembre , perché senza i produttori non si va da nessuna parte. Giustamente ADM, ANCC-Coop, ANCD-Conad e Federdistribuzione sottolineano che “bisogna lavorare in un’ottica di sistema su temi comuni per costruire  rapporti di filiera più trasparenti ed equi, a beneficio dei consumatori”.
L’intesa tra distribuzione e mondo agricolo, aggiungono, “ evidenzia la forte sintonia attorno alle proposte rivolte al legislatore per il recepimento della Direttiva Europea sulle pratiche sleali”. Come dire, adesso le truppe sono schierate, la palla è alzata, spetta al legislatore schiacciarla.
Le firme del mondo produttivo (Alleanza  Cooperative Agroalimentari, Cia-Agricoltori Italiani, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri e Filiera Italia, quest’ultima al suo ‘debutto’) una volta tanto rappresentano tutto il mondo produttivo, privati e cooperative, senza distinguo (almeno sulle pratiche sleali, tutti sono d’accordo).
Libera e leale concorrenza e il rispetto della legalità erano gli assi portanti  dell’accordo con le industrie e tornano adesso nell’accordo col mondo produttivo. “Occorre tutelare al meglio i consumatori e i produttori, assicurando qualità e giusto prezzo e favorendo la sostenibilità economica di tutti i comparti della filiera”, sono le buone intenzioni. Nel dettaglio (vedi news…) l’intesa tra distribuzione e agricoltura ha come punti salienti: il concetto di reciprocità; il principio di riservatezza nella denuncia delle pratiche commerciali sleali; sanzioni dissuasive proporzionate e tali da non compromettere la continuità delle imprese e il loro equilibrio economico (tenendo comunque conto dell’ eventuale reiterazione da parte degli operatori di tali pratiche sleali). Tra i punti principali ancora si rigetta l’uso delle aste on line al doppio ribasso, si riconsidera il tema delle vendite sottocosto limitandole a casi specifici, si rimanda a un ente incaricato dell’applicazione e controllo della normativa in questione che possieda opportuni requisiti di autonomia ed esperienza, quale ad esempio l’ICQRF (l’ex Repressione frodi, non l’Agcm cioè l’Antitrust, che finora non ha funzionato).
Su un tema spinoso come le vendite sottocosto di freschi, freschissimi e deperibili , la si ammette “solo nel caso si registri del prodotto invenduto a rischio di deperibilità o nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta, salvo comunque il divieto di imporre unilateralmente al fornitore, in modo diretto o indiretto, la perdita o il costo della vendita sottocosto” . Poi il ricorso alle vendite sottocosto “può essere ammesso per un numero limitato di iniziative, connesse a situazioni particolari aziendali o di mercato e comunque sempre suscettibili di valutazione di conformità da parte degli Organi di controllo”.
Questo il quadro che segnala un armistizio onorevole fra  tutte le parti in causa. Due adesso le domande: tutta la Gdo si riconosce in questo accordo? Tutta la GDO è disposta a onorare questi impegni? Poi il tema dei prezzi, del valore della materia prima: la limitazione del sottocosto  è un passo avanti, ma siamo sicuri che non vedremo più le angurie regalate in piena estate o le fragole svendute come capita in questi giorni?
L’abbiamo qui ripetuto più e più volte: la GDO non è tutta uguale, tutta ‘cattiva’, come rappresentata in certe inchieste televisive ad alto tasso di faziosità. Però tutta la GDO, anche quella più responsabile, non è esente da colpe, fa fatica a rinunciare ad  una comoda rendita di posizione che finora nessuno ha insidiato o limitato.
Sottocosto a parte, l’intesa sul tema dei prezzi non dice molto. C’è un impegno a rafforzare la MDD (marca del distributore) “valorizzando il rapporto con le imprese agricole e di trasformazione italiane”.  Si auspica “una reciproca collaborazione tra tutti gli operatori agricoli, industriali e distributivi per migliorare ulteriormente l’efficienza della filiera e garantire un’adeguata valorizzazione del prodotto “dal campo alla tavola” in modo tale da assicurare un’equa ed equilibrata remunerazione dei diversi soggetti a partire dagli agricoltori”. Poi “occorre tutelare al meglio i consumatori, assicurando qualità e giusto prezzo”. Infine si chiede una miglior organizzazione alla filiera agricola “anche attraverso l’organizzazione in forma associata o cooperativa per meglio organizzare l’offerta e la trasformazione dei loro prodotti dal punto di vista economico”.
Sicuramente questo accordo-a-tre segna un passo in avanti per tutta la filiera, tenendo conto che il mondo del retail finora era stato riottoso a sedersi ad un tavolo con gli altri per stabilire regole comuni. Sul problema del “giusto prezzo per remunerare la qualità” si è raggiunto un compromesso forse non soddisfacente ma  che oggi è forse il massimo che si può ottenere. Adesso però spetta alla politica chiudere il cerchio  e  recepire in tempi brevi la Direttiva europea con un provvedimento legislativo. Poi chi vivrà, vedrà.

*Direttore del "Corriere Ortofrutticolo"