Allarme rosso per il vino. E per l’ortofrutta no?

Il mondo del vino si sta mobilitando per chiedere campagne di promozione dei consumi in Italia e all’estero. E’ la prima voce del nostro export agroalimentare.L’ortofrutta è la seconda voce del nostro export ‘verde’, la prima se consideriamo il trasformato. Non c'è però la stessa mobilitazione, la stessa consapevolezza del rischio che corre il made in Italy.

di Lorenzo Frassoldati*
  • 18 November 2020

I consumi in questo secondo atto della pandemia non stanno andando bene. Frustrazione, rabbia, sgomento, disillusione e portafogli sempre più vuoti dei consumatori fanno prevedere consumi sempre più ridotti e comunque concentrati nella fascia di primo prezzo dei prodotti.
Sarà un caso, ma in questi giorni sta esplodendo la guerra dei prezzi e delle promozioni nelle catene della Distribuzione moderna, con molte iniziative ‘sottocosto’.
La ministra Bellanova non perde occasione per dire stop al sottocosto e alle aste a doppio ribasso: “L’obiettivo – cito testualmente – a cui puntare è produrre cibo di qualità con la giusta remunerazione. E’ tema da affrontare anche con la collaborazione della GDO… Nella battaglia per la legalità e per sconfiggere il caporalato abbiamo bisogno di una grande alleanza con il consumatore”. Già, ma il consumatore dove sta e soprattutto con chi sta? Il sottocosto danneggia tutti, ma chi ha la forza di dire a certa Gdo di smettere? Quella della ministra è ‘moral suasion’, ragionevole, appassionata, sincera. Ma sempre moral suasion. Già nel marzo scorso il Ministero aveva chiesto alle organizzazioni agricole, associazioni di produttori e altri soggetti aggregati di segnalare potenziali pratiche sleali di mercato nella filiera agroalimentare, aprendo anche una casella di posta elettronica per le segnalazioni (pratichesleali@politicheagricole.it) da far giungere all’Antitrust. E nel DL del 22 marzo erano state previste multe da 15 a 60mila euro “per chiunque metta in atto pratiche sleali tra acquirenti e fornitori, colpendo il made in Italy e danneggiando la nostra reputazione”. Dal report gennaio-maggio 2020 della Repressione frodi (ICQRF) risulta che i controlli nell’ortofrutta sono stati il 5% del totale, e che delle 21 segnalazioni pervenute nella categoria ‘pratiche sleali’ la metà riguarda il latte bovino e bufalino e solo “in alcuni casi le segnalazioni hanno riguardato l’aumento dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli presso i mercati centrali e rionali. Le verifiche da parte degli Uffici territoriali sono in corso. Il canale è continuamente monitorato, ma nell’ultimo mese non sono pervenute segnalazioni”. Così la versione ufficiale.
Cambierà qualcosa quando la Direttiva sulle pratiche sleali avrà forza di legge in Italia? C’è un’attesa messianica sull’efficacia di questo nuovo strumento. Intendiamoci: meglio che niente, però ricordiamoci com’è andata a finire con l’art.62, più tema per convegni che deterrente per comportamenti scorretti, anche per assenza di denunce. Intanto le catene lanciano sconti e promozioni e sbandierano i prezzi bassi per andare incontro al ridotto potere di acquisto dei consumatori. Quindi prezzi bassi alla produzione, con listini sempre più depressi, ma nel reparto ortofrutta i prezzi non sono calati, anzi forse non sono mai stati alti come adesso. E’ un po’ come per i prezzi di benzina e gasolio: quando il petrolio cala, i prezzi restano fermi, non calano. Ma salgono di corsa quando il petrolio cresce.
Fa discutere in questi giorni la proposta della Lega di azzerare l’Iva su alcuni beni di prima necessità, tra cui l’ortofrutta. Il costo preventivato sarebbe attorno ai 4 miliardi, da coprire con parte di quella valanga di miliardi a debito che si scaricheranno sulle spalle dei nostri nipoti e pronipoti per sette generazioni. Personalmente non ho una opinione precisa in merito, spero che arrivi presto un commento del nostro prof. Giacomini per fare un po’ di chiarezza. Però, a naso, non mi sembra una grande idea proprio per le ragioni di cui sopra. Siamo sicuri che il taglio del 4% finirebbe in tasca ai consumatori? In ortofrutta sono tante, troppe, le variabili che fanno il prezzo. Tantissimi venditori e pochi compratori. C’è il rischio che quel taglio resti in tasca a qualcuno nell’intermediazione della filiera e che alla fine il consumatore si accorga di (poco o) niente.
Il mondo del vino si sta mobilitando per chiedere campagne di promozione dei consumi in Italia e all’estero. E’ la prima voce del nostro export agroalimentare; con la crisi di bar, ristoranti, alberghi, catering e turismo decine di migliaia di cantine medio-piccole di stampo famigliare, scarsamente strutturate, rischiano grosso. L’allerta è a livello rosso. L’ortofrutta è la seconda voce del nostro export ‘verde’, la prima se consideriamo il trasformato. Non vedo però la stessa mobilitazione, la stessa consapevolezza del rischio che corre il made in Italy. Ma se non sono preoccupati gli attori del comparto, se non fanno suonare il campanello di allarme, come volete che la politica risponda?


* direttore del Corriere Ortofrutticolo