Pesce, un alimento sottovalutato

di Giovanni Ballarini
  • 11 March 2020

Che i prodotti ittici siano importanti per la salute e che devono entrare in una dieta corretta e equilibrata lo dicono gli esperti perché pesci, molluschi e simili sono ricchi di proteine, vitamine, minerali e grassi buoni e lo sanno in molti, ma pochi sono al corrente dei rischi che sta correndo la salute dei mari per un eccessivo sfruttamento della pesca, ma quale è la vera situazione? Non solo perché i dati che abbiamo sono discordanti, ma anche perché come sempre devono essere interpretati in modo corretto.
Indubbiamente negli ultimi decenni gli italiani nella loro alimentazione hanno aumentato i consumi di pesce che sembra essersi stabilizzato, sia pure con oscillazioni, verso i trenta chilogrammi annui per persona e comprendendo una grande varietà di prodotti: pesce congelato sfuso, pesci secchi, salati e affumicati e pesce fresco che rappresenta quasi la metà delle vendite complessive. Gli italiani consumano prevalentemente prodotti freschi e decongelati (49% degli acquisti), ma anche surgelati confezionati (17% degli acquisti) e conserve (24%), principalmente di tonno. I prodotti ittici più venduti sono orate, salmone, cozze, platessa e merluzzo, mentre tra i prodotti ittici trasformati il primato va al tonno in scatola. Molto importante è che l’Italia nel 2018 ha prodotto circa trecentocinquantamila tonnellate di pesci, molluschi e crostacei (55% di pescato e 45% di allevato) coprendo solo il venti per cento dei consumi, mentre il restante ottanta per cento, quasi 1,4 milioni di tonnellate di prodotti ittici, è importato dalle più diverse parti del pianeta.
Il più importante fornitore è la Spagna, da cui proviene il 22% dell’import, seguono Paesi Bassi (5,3%), Grecia e Regno Unito (4,5% ciascuno), e Francia (4%), mentre il 40% proviene da Paesi extra-UE compresa la Norvegia, con l’Equador in testa alla classifica dei fornitori. Al primo posto fra i prodotti acquistati dall’estero vi sono seppie e calamari che provengono in buona parte dalla Spagna ma anche da India, Thailandia e Cina, al secondo posto ci sono le conserve di tonno e palamita seguiti dai gamberetti congelati e affumicati), e polpi.
Da un punto di vista statistico gli italiani mangiano quasi seicento grammi di pesce la settimana di pesce, pari a quattro porzioni cadauna di centocinquanta grammi, una di più delle tre porzioni settimanali consigliate, ma si tratta di un consumo apparente e non reale. Come avviene per molti altri alimenti, anche per il pesce non è la quantità acquistata che è mangiata, ma solo una parte e se per un trancio di tonno la parte edule è di circa il novanta per cento, per i mitili, cozze e vongole si cala al trenta e venticinque per cento per arrivare al dodici per cento nelle ostriche. In linea di massima bisogna quindi ritenere che il consumo reale annuale di pesce degli italiani in media non arriva ai quindici chilogrammi, pari non più di due porzioni di centocinquanta grammi cadauna per settimana, contro le tre porzioni consigliate e quindi per una corretta nutrizione sarebbe consigliabile un aumento dei consumi che però contrasta con la salute dei mari, la sostenibilità della produzione ittica e soprattutto sul fatto ricordato che la produzione italiana di prodotti ittici copre soltanto il venti per cento dei consumi nazionali.
La sfida che ci attende è di aumentare la quantità di prodotti ittici consumati dagli italiani portandola a tre porzioni settimanali pari a un totale di quattrocentocinquanta grammi e al tempo stesso aumentare la percentuale di autosufficienza incrementando posti di lavoro, fatturati e utili e questo può essere ottenuto con una diversificata serie di interventi: aumento dell’itticoltura soprattutto di specie con elevata percentuale di parte edule, aumento dei consumi di specie ritenute di basso valore gastronomico sfruttando anche conoscenze tradizionali e privilegiando quelle più abbondanti e con maggiore sostenibilità, riduzione degli scarti e perdite connesse alla conservazione, trasporto e lavorazione, maggiore uso dei prodotti ittici lavorati nella ristorazione collettiva, piatti pronti ecc., l’uso anche di carni ittiche congelate e anche tritate di pesci come tilapia, carpa, pesce gatto, pangasio, persico africano e simili per preparazioni innovative, senza infine dimenticare le richieste di consumatori provenienti da Paesi africani o dall’estremo oriente, che ricercano prodotti tradizionali anche nei sempre più diffusi ristoranti etnici.