Biomasse da energia: luci e ombre

Il 6 maggio 2013 si è svolto un Workshop organizzato dalla Sezione Centro Ovest dell’Accademia dei Georgofili in collaborazione con la Scuola Superire Sant’Anna di Pisa, in cui sono state affrontate le varie problematiche relative alle “agrobioenergie”.

di Enrico Bonari
  • 08 May 2013
Le riflessioni in atto sulla produzione di biocarburanti e/o, in genere, di biomasse da colture dedicate a destinazione energetica (energia termica e/o elettrica), prendono lo spunto da alcuni “elementi” che da anni caratterizzano l’agricoltura dell’U.E., del nostro Paese, e di gran parte del mondo occidentale; da un lato, essa è chiamata ad acquisire un ruolo più “multifunzionale” nella gestione del territorio rurale, anche attraverso una migliore valorizzazione degli usi “non alimentari” delle produzioni agricole e forestali; dall’altro lato, il crescente bisogno di energia (possibilmente “pulita”) della nostra società, l’ulteriore presa di coscienza del fenomeno dei cambiamenti climatici e la necessità di ridurre le emissioni di gas-serra, assieme al perdurante aumento del prezzo del petrolio, suggeriscono un maggiore impiego delle fonti rinnovabili di energia, dei diversi possibili biocarburanti e, quindi, delle diverse biomasse agroforestali.
Soprattutto nell’ultimo decennio, numerose sono le ricerche e la sperimentazione condotta in questo settore e dalle conoscenze finora acquisite si può affermare che la produzione di biomasse a destinazione energetica presenta indubbiamente molti aspetti positivi, ma non pochi sono ancora quelli negativi che necessitano di ulteriori e approfonditi studi. Se da un lato è infatti vero che cresce in tutto il mondo la necessità di produrre cibo per una popolazione in costante crescita e che, in particolare nel nostro Paese, le superfici a seminativo oggi destinabili alle diverse colture dedicate da “bioenergia” non potranno che rappresentare quote di produzione relativamente modeste – e contribuire quindi molto parzialmente ai nostri fabbisogni - è anche vero che questa opportunità non può più essere ignorata, né per le valenze positive sotto il profilo energetico ed economico in generale, né per il contributo offerto alla ulteriore diversificazione degli indirizzi produttivi nelle aree più difficili e contribuire, quindi, a che la nostra agricoltura possa “tornare a produrre” e ad invertire la tendenza al progressivo abbandono dei seminativi  registrata nell’ultimo ventennio. 
Soprattutto nelle aree agro-forestali più prossime alle superfici boscate appenniniche e mediterranee – nelle quali è tra l’altro comunque indispensabile un recupero sostenibile delle attività selvicolturali – dove per le superfici a seminativo più marginali e non più destinate agli allevamenti zootecnici esiste forte il rischio di una ulteriore temibile riduzione delle colture agrarie, una corretta introduzione di specie dedicate alla produzione di biomassa a destinazione energetica potrebbe costituire senz’altro una valida alternativa per la costruzione una filiera “corta”  a sviluppo locale. Anche in gran parte delle aree non irrigabili della Toscana, in passato prevalentemente indirizzate verso le colture cerealicole e le colture industriali asciutte, un’introduzione responsabile delle colture dedicate da energia sembra essere in grado di offrire agli agricoltori un’alternativa credibile per ostacolare l’aggravarsi di un “modello” non sostenibile della gestione dello spazio rurale basato sulla “non coltivazione”.
Occorre però enucleare con chiarezza e senza preconcetti quali possano essere - in rapporto alle disponibilità delle biomasse residuali già disponibili e/o alle potenzialità delle colture agronomicamente e territorialmente più vocate - le “filiere bioenergetiche” da privilegiare; filiere che non potranno che essere prevalentemente “locali”, fortemente integrate con le disponibilità di biomasse residuali di origine agricola, agro-industriale e forestale, il più possibile coadiuvate da tecnologie di trasformazione semplici, da gestire a livello poco più che aziendale, in grado di operare producendo energia (termica ed elettrica) in massima parte utilizzata sul posto;  ed in ciò prestando comunque la massima attenzione agli eventuali problemi di integrazione con le esigenze primarie di salvaguardia del territorio rurale nel suo complesso e delle caratteristiche “identitarie” dei sistemi produttivi tipicamente in atto.