Rivoluzione digitale e agricoltura 4.0

di Pietro Piccarolo
  • 03 April 2019
La rivoluzione digitale è già una realtà nei paesi tecnologicamente avanzati. Il nostro Paese accusa un certo ritardo, sia a livello pubblico che privato. Si tratta di una opportunità che bisogna sapere cogliere nella consapevolezza però dei cambiamenti che essa porta nella società e nel mondo del lavoro dove, inevitabilmente, verranno a meno determinate mansioni ma nuove ne sorgeranno. Una rivoluzione quindi che ha forti implicazioni sull’economia e sulle persone e che, pertanto, pone questioni anche sul piano etico. A fronte di questi problemi, in un recente convegno tenutosi all’Università Luiss, si è provato a immaginare algoritmi capaci di essere a favore delle persone e non contro di esse.
Alla base di questi cambiamenti vi sono i cosiddetti Big Data. Questi Big Data, non sono solo dati numerici ma molto di più e cioè, ad esempio, foto e immagini ed anche informazione trasmesse come quelle, ad esempio, che il trattore condivide con la macchina operatrice ad esso accoppiata. La mole di dati è veramente enorme grazie alle informazioni contenute nel Cloud, a quelle provenienti dalle costellazioni satellitari, dai sensori montati su mezzi aerei e droni od anche su macchine. Tra le costellazioni, è opportuno ricordare quella dei satelliti Sentinels del programma europeo di monitoraggio ambientale: “Copernicus: lo sguardo dell’Europa sulla Terra”. Infatti, il monitoraggio della costellazione sulla terraferma riguarda, tra l’altro, il modo con cui il terreno viene utilizzato ed anche lo stato di salute della vegetazione, fornendo così informazioni importanti per l’agricoltura. La possibilità di utilizzare questa mole di dati deriva: da un lato, dalla capacità di trasformarli in un formato leggibile da un computer e di poterli elaborare; dall’altro, di riuscire a tradurli in strategie operative attraverso specifici algoritmi. Per l’agricoltura questo significa la possibilità di potere attuare l’agricoltura 4.0.
Tutto questo ha, come anticipato, un forte impatto sulla risorsa capitale umano che, a questa rivoluzione, deve essere preparato attraverso un’adeguata formazione.  Le nuove professioni di cui la rivoluzione digitale necessita devono anzitutto essere formate tramite una stretta collaborazione tra il mondo dell’impresa, che ha necessità di avere persone preparate sulle tematiche digitali, e il mondo universitario, che deve fornire agli studenti le competenze richieste dalla nuova realtà di comunicazione ed economico-produttiva. Solo in questi ultimi anni, alcune Università italiane hanno aperto corsi mirati a questo tipo di formazione, per cui non è ancora chiara la possibilità di occupazione di queste nuove professioni. E’ indubbio però che questa è la strada da seguire in quanto, per potere rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro, è necessario investire sempre più sulle competenze del capitale umano. Competenze che debbono essere continuamente aggiornate, perché l’innovazione in settori come quello dell’Intelligenza Artificiale corre molto velocemente. Oltre alla carenza di competenze, un altro ostacolo all’introduzione del digitale è rappresentato dal ritardo, abbastanza diffuso su scala nazionale, all’accesso a una connessione a banda larga sufficientemente veloce; come pure la costatazione che le piccole e medie imprese, che sono la maggioranza nel tessuto produttivo del nostro Paese, sono quelle che incontrano maggiori difficoltà ad adeguarsi. Da qui l’impegno, anche con politiche adeguate, per questo settore.
Quella del nanismo delle imprese è purtroppo una realtà che caratterizza la nostra agricoltura. Per potere attuare l’agricoltura 4.0 è quindi necessario pensare a realizzare forme di gestione aziendale e dei servizi a più larga maglia territoriale, con un uso condiviso delle macchine e delle tecnologie e/o con il maggiore ricorso alla cooperazione o al contoterzismo. Non va infatti dimenticato che il parco macchine nazionale è fortemente obsoleto, mentre l’agricoltura 4.0 richiede l’impiego di macchine tecnologicamente avanzate. Occorre poi superare il ritardo culturale degli agricoltori nei confronti dell’innovazione della quale non hanno ben chiari i benefici economico-produttivi. Ritardo a cui contribuisce l’età media elevata dei capi azienda (57 anni contro i 38 degli USA). Ancora marginale è la giovane imprenditoria agricola (solo il 10% circa dei conduttori ha meno di 40 anni); imprenditoria che va invece incentivata per accelerare il ricambio generazionale e favorire la formazione delle competenze che l’agricoltura 4.0 richiede.