“Qual debba esser la Cucina”: Vincenzo Tanara e la “fabrica d’vna Cucina” in Villa (da L’Economia del cittadino in Villa, 1687)

di Lucia Bigliazzi, Luciana Bigliazzi
  • 15 February 2017
Il perfetto cuoco in Villa, oltre che “polito, fedele, & intendente” doveva essere edotto, secondo gli Antichi, in tre scienze: “Medicina, Astrologia, & Architettura”.
Le prime due –medicina e astrologia- costituivano senza alcun dubbio, dichiarava Tanara, una fonte basilare di conoscenze da mettere a frutto nella scelta delle sostanze da manipolare, quali erbe di stagione raccogliere e a quale luna, quali spezie usare per esaltare il sapore delle vivande, quali tipi di carni e pesci utilizzare in primavera, estate, autunno, inverno.
Ma cosa c’entrava l’architettura? A Tanara pareva lontanissima dal lavoro del cuoco; però ci rifletteva sù e concludeva che in fondo anche questa scienza poteva trovare utilizzo fra le mani di un cuoco eccellente che nell’imbandire i piatti plasmava una “Torre”, una “fortezza”, abbozzava la forma di un pesce “o altro animale cotto in … pasticcio”.
Però, se il cuoco fosse stato interpellato per la “fabrica d’vna cucina” avrebbe dovuto senza dubbio suggerire agli architetti di scegliere un luogo “oue con strepiti non romoreggi il resto della Casa”: poco importava che il locale fosse rotondo o quadro: doveva essere lontano dalla confusione, con soffitto a volta e con il focolare nel punto più luminoso della stanza. 
Un ampio tavolo doveva esservi collocato per imbandire, lavorare paste e carni, per pestare semi, spezie e quant’altro.
In un canto doveva esserci un muricciolo “alto due piedi, e mezo largo” per potervi porre “bragia da far cuocere viuande”; detto muricciolo doveva essere dotato anche di cavità nelle quali porre la brace per mantenere calde pentole, padelle e tegami. L’accortezza di un bravo cuoco non doveva trascurare niente per far sì che il suo affaccendarsi in cucina ottenesse il migliore dei risultati per soddisfare sia le sue fatiche, sia il palato raffinato del “cittadino in villa” e dei suoi ospiti. (Da tener conto che per Tanara il perfetto “cittadino in villa” doveva essere anche ottimo cacciatore e dunque pertanto solitamente circondato da molti amici coinvolti nelle battute di caccia  e che poi con lui condividevano la mensa al ritorno dai boschi).
Doveva essere anche previsto un sottoscala dove riporre il carbone, così come una loggia per ripararvi la legna e per nutrirvi qualche gallina e qualche cappone.
In un angolo della cucina (e meglio ancora se in un’altra stanza vicina) doveva esservi collocato il forno dotato sia sopra che sotto di ripostigli minuti, “quasi stanziette per tener col calor di detto forno calde le uiuande”. Questo locale poteva anche essere adattato a “sciacquatoio, ò secchiaio, secondo la comodità dell’acque” le quali, o di condotto, o di sorgente, o di pozzo non dovevano mai mancare in cucina. Meglio se questa poteva averne di due tipi: una di cisterna “per uso del mangiare”, l’altra di pozzo per lavare e sciacquare tutte le masserizie.
Una serie di scaffali, collocati in detta stanza, potevano servire per riporre pentole, tegami, così come alcuni armadi chiusi si presentavano indispensabili per collocarvi gli utensili più minuti, i condimenti, le spezie e quant’altro necessario.
Nella cucina potevano esservi appesi alle pareti “uncinetti di ferro”, rastrelli e altri arnesi da avere sempre e velocemente a portata di mano, e tuttavia tutti questi utensili non dovevano impedire l’accesso alle tre scansie che contenevano “vna piatti di terra, nell’altra di maiolica, nell’altra di stagno”. Le chiavi delle ultime due, da tenersi rigorosamente chiuse, erano affidate al cuoco.
Nella perfetta cucina della Villa, non poteva mancare il mortaio che Tanara prevedeva collocato sopra una colonnetta di pietra posta in un angolo della stanza.
“Saria il compimento d’ogni comodità”, dichiarava Tanara, se accanto alla cucina “ci fosse vna corticella col pozzo da poteruisi pelare, nettare, e lauare i polli, e le carni”.
Ecco dunque dimostrato, concludeva il Nostro, quanto non era inutile che il cuoco fosse anche un po’architetto: dall’organizzazione della cucina e dalle tante comodità enucleate, dipendeva la qualità del suo lavoro che per Tanara era anche fatto dall’ambizione di ottenere lodi, dalla sopportazione alla fatica, dal tendere a soddisfare il gusto dei suoi padroni e dei loro convitati. 


NOTA ATTUALE DELLE AUTRICI: “Prodotti dell’orto del campo e del cortile” mese per mese in cucina

Oggi in ogni momento dell’anno possiamo soddisfare il nostro gusto con qualunque frutto, verdura o ortaggio che può giungere anche da molto lontano, ma sempre facilmente reperibile nei nostri negozi.
Se tutto ciò da un lato è indice della facilità con cui si muovono cose e persone per il mondo, ha anche però il suo “rovescio”: la perdita della consapevolezza legata al ciclo delle stagioni.
Passiamo quasi con indifferenza dinanzi ai prodotti che la terra ci offre e che sono perennemente (e forse troppo) a portata di mano. 
Non era questa la situazione quando Vincenzo Tanara (n. Bologna sec. XVI ex.- m. Bologna, dopo il 1644) dava alla luce la sua opera L’economia del cittadino in villa il cui Libro VII era interamente dedicato a “Il Sole, e la Luna”, entrambi necessari al ciclo vegetativo delle piante. 
Se è vero che a quel tempo non vi era la benché minima concezione di ciò che significa attualmente “a chilometro zero”, è ovvio invece che la stagionalità dei prodotti dell’orto, campo e cortile era principio fondamentale che guidava l’attento proprietario, il contadino nelle sue attività campestri (messa a coltura, potatura etc.) e l’abile cuoco nella preparazione di succulente pietanze.
Così il Nostro “dopo la segnalazione delle mensuali operationi” da compiersi nel campo, nel cortile e nell’orto, riteneva utile offrire al lettore anche “le viuande più frequenti in ciaschedun mese”.
“Servizi di credenza” e“Servizi di cucina” si alternano nel volume esibendo una notevole quantità e varietà di prodotti e la loro articolata e fantasiosa manipolazione in pietanze che suggeriscono la delizia e il piacere per il palato.



FOTO: olio su tela di Gottfried Libalt (1610-1666, Germany)