Le biomasse legnose in Trentino secondo il progetto Biomasfor

di Lapo Casini
  • 11 December 2013
Negli ultimi 15 anni in Trentino sono stati numerosi gli studi e le indagine volte a definire il ricorso alle biomasse legnose. L’estensione tutto sommato non enorme della Provincia, l’unitarietà del regime autonomo sul piano amministrativo e l’identità culturale hanno creato le condizioni per un’intensa diffusione delle bioenergia agganciata alla notevole risorsa bosco locale e alla filiera di trasformazione del legname.
Nel corso del 2011-2012 il progetto Biomasfor ha fatto il punto della situazione, che può dare indicazioni di tendenza forse anche per altri territori italiani: http://www.biomasfor.org/sites/default/files/.images/biomasfor.pdf
A premessa dei risultati dello studio, uno dei punti critici ai fini della diffusione della bioenergia resta quello delle unità di misura. Limitandosi allo scarto ricavabile dalle fustaie di proprietà pubblica in Trentino, e ipotizzando una costanza di prelievo di legname da lavoro di 500.000 mc/anno con una connessa produzione di scarto in bosco recuperato ad uso “legna da ardere” secondo gli usi civici di 75.000 mc/anno, l’ulteriore residuo cippabile teorico sarebbe di 20.000 t/anno. Assunzioni più verosimili in merito alle limitazioni derivanti da pendenze e accidentalità portano ad un residuo forestale cippabile di sole 3.500 t/anno in tutta la Provincia: dove è probabile che ci siano la fattibilità tecnica e la convenienza economica.
Le segherie trentine, circa un centinaio, processano 650.000 mc/anno, producendo scarti legnosi industriali (ancora vergini ma non più forestali: segatura, refili, corteccia ecc) per 540.000 mst/anno, di cui la metà esce dagli stabilimenti già cippato per l’impiego combustibile (NB 25.000 mst/anno sono autoconsumati in segheria per lo stesso impiego). Il fabbisogno annuo di cippato in Trentino per produrre energia (termica, in piccola parte anche elettrica) presso impianti termosingoli o teleriscaldamenti collettivi ammonta a 200.000 mst/anno: il 70% proviene dalle citate segherie trentine.
Per il futuro, ci sono due certezze: la permanenza e anzi la crescita dell’orientamento socioeconomico, politico e amministrativo verso le Fonti di Energia Rinnovabili, e quindi a favore degli investimenti connessi; la crescita del fabbisogno di cippato, per maggior convenienza rispetto ai combustibili fossili e anche per maggior rispondenza alle istanze di coesione sociale e di appartenenza civica al territorio.
Stante la crisi economica generalizzata non è ragionevole ipotizzare un incremento dell’attività di segagione da parte degli stabilimenti trentini, che possa generare anche maggiori quantità di scarto e di cippato: l’offerta di cippato ricavabile presso le segherie rimarrà in quantità quella attuale di 260.000 mst/anno. Il cippato ricavabile dal bosco secondo la stima prudenziale sopra individuata già adesso non coprirebbe (se raccolto integralmente) il 30% attuale di cippato non garantito dalle segherie, e ancor meno in futuro. 
La cosa più verosimile è che il futuro deficit di cippato in Trentino possa essere colmato in prevalenza con l‘attivazione di un recupero conveniente dello scarto agricolo da un settore  ben organizzato e già ben infrastrutturato (meleti, vigneti): con differenziazione della fonte e integrazione del reddito delle aziende agricole trentine.