Il concetto di Marchio nella storia del vino

L’articolo è un abstract della relazione svolta nella giornata di studio “I Marchi e il Vino”, che si è tenuta all’Accademia dei Georgofili il 12 maggio 2017

di Giusi Mainardi
  • 24 May 2017
Da millenni il vino condivide la storia degli uomini.
Lo vediamo entrare da grande protagonista nella letteratura, nell’arte, nel pensiero mitico, nel pensiero simbolico e religioso, ma intrecciandosi con questi aspetti, reso fortissimo da questi aspetti, il vino è stato anche, da sempre, una fonte importante dell’economia. 
Il mercato l’ha visto protagonista da millenni. Da millenni il vino è costantemente un prodotto di particolare importanza commerciale. Percorre le vie di terra e le rotte marittime dei commerci delle antiche civiltà di Sumeri, Ittiti, Egizi, Fenici, Minoici, Micenei, dei Greci dell’epoca classica, dei Romani… Poi è ancora protagonista dei commerci del Medio Evo, è presente sulle nuove rotte transoceaniche dell’epoca delle grandi scoperte, che lo portano nel Nuovo Mondo. Seguendo poi l’evoluzione delle conoscenze, delle tecniche e delle nuove possibilità di trasporto, il vino si sposta sempre più agevolmente ed è un formidabile prodotto che genera economia. Anche oggi gli scambi internazionali continuano a crescere.
Quando si parla di mercati ampi, si manifesta una forte esigenza di identificazione. Per questo il concetto di Marchio nella storia del vino si dipana lungo i secoli.
Dalle civiltà più antiche fino a oggi, il vino ha avuto necessità di una identificazione per esigenze di registrazione e controllo della produzione, ma anche per l’imprescindibile esigenza di comunicare il tipo, la qualità, l’origine geografica.
Così il “Marchio” nella storia del vino conosce una continua evoluzione, ma è costantemente presente come segno di identificazione, rappresentazione, differenziazione di un prodotto rispetto a tanti altri.
Il Marchio è infatti un segno di riconoscimento di un particolare prodotto, è un “messaggio” che rivela l’identità del prodotto stesso ed è una garanzia e anche un impegno. 
La necessità di indicare sul recipiente gli elementi distintivi del vino è ben attestata già nell’antico Egitto.
Anche per i Greci dell’Antichità, l’impiego di marchi per identificare i diversi vini era molto diffuso, proprio perché il commercio del vino greco nel Mediterraneo era molto esteso e molto intenso.
Analogo fenomeno si manifestò nell’ambito del grande mercato del vino all’epoca dell’impero romano.
Importanti informazioni sull’antica economia vinicola si ricavano in gran parte proprio da quello che era il recipiente da vino per eccellenza del passato: l’anfora di argilla.
Le anfore erano marchiate con il signum prima della cottura, oppure in altri casi a contrassegnare le anfore erano dei graffiti, o ancora delle scritte in inchiostro rosso o nero, i tituli picti. La fruizione di queste informazioni è stata possibile grazie all’anforologia moderna, che ha visto protagonisti della sua nascita il padre barnabita Luigi Bruzza (1813-1883) e Heinrich Dressel (1845-1920). Proprio analizzando, decifrando e confrontando i bolli e le forme delle anfore, Heinrich Dressel poté formare delle categorie, degli insiemi coerenti. Così, con questo supporto possiamo sapere quando un certo tipo di anfora è stato prodotto, in quale area geografica, che cosa conteneva, su quali rotte commerciali si spostava. Legate a caratteristiche funzionali rispetto alle merci che dovevano contenere, le forme tipiche di certe anfore evocavano immediatamente il loro contenuto, ma anche la forma diventava una sorta di marchio di origine dell’anfora e del suo contenuto.
A tutela dell’autenticità, nel II secolo d.C. fu creato a Roma un gruppo di agenti controllori fra i quali c’erano dei funzionari incaricati del controllo dei traffici commerciali terrestri e marittimi nelle città, lungo i fiumi, nei porti commerciali.
Rispetto alla normativa, troviamo poi, nel Medio Evo, dei riferimenti interessanti nella raccolta del Corpus Iuris Civilis, opera voluta dall’imperatore bizantino Giustiniano. Qui si indicava che era soggetto a punizione chiunque avesse impresso in maniera fraudolenta un “signum”, ovvero un marchio, usandolo per realizzare un falso. 
Nel corso del 1600 l’evoluzione dei recipienti da vino vide in Inghilterra la produzione di innovative bottiglie di vetro, spesse e resistenti. Queste offrivano nuove opportunità di marchiatura, con il marchio impresso dalle vetrerie direttamente sul vetro (FOTO). Così fecero i produttori dei vini più prestigiosi.
Nel 1700 si gettarono le basi di nuovi storici vini europei.
In tale contesto nacquero in Europa le prime delimitazioni delle aree dedicate a determinati vini prestigiosi (come Chianti, Tokaj, Porto) che si potevano chiamare con i rispettivi nomi geografici, solo se prodotti in quelle specifiche aree. La necessità di tipizzazione dei vini identificati nelle loro aree storiche di produzione portò allo sviluppo della legislazione sulle denominazioni d’origine che, in alcuni casi, sono state registrate anche come marchi. Si è inoltre sviluppata una normativa di tutela dei marchi sempre più specifica. A partire dall’inizio del 1800, si presentarono nuove possibilità di comunicare sull’etichetta i marchi per il vino, aprendo la strada a una serie infinita di possibilità identificative e distintive. Dai tituli picti e dai signa, si è giunti alle etichette autoadesive, ai supporti trasparenti, agli sliver… Nuovi strumenti, nuove soluzioni, nuove interpretazioni si sono susseguite, tuttavia portando sostanzialmente un concetto costante sulla funzione del marchio per un vino: quella di distinguere, identificare, tutelare, garantire, valorizzare.


    
ANFORA DI ARGILLA


SLIVER