Frammenti di saggezza popolare. I proverbi per il mese di dicembre

di Lucia Bigliazzi, Luciana Bigliazzi
  • 21 December 2016
Il cantilenare dei proverbi sembra quasi una novella raccontata ai fanciulli per avviarli alla conoscenza in forma diretta della realtà, eppure essi nel loro insieme costituiscono autentici “trattati anonimi” sul clima, 
sull’agricoltura e il lavoro dei campi, sulla vita e le usanze popolari, sull’allegria e la tristezza di tanti, sono mezzo attraverso il quale la povera gente ha tramandato fin da tempo remoto riflessioni, osservazioni e regole; oggi essi rappresentano un patrimonio di tradizione orale di grande rilievo. 
In questa sede e a chiusura dell’anno 2016 ci preme riportare quelli per il mese di dicembre così come raccolti dal georgofilo Ugo Rossi Ferrini nel suo volume Proverbi agricoli (Firenze, 1931), unitamente in alcuni casi a commenti e spiegazioni e componimenti poetici.
Con la loro forma concisa, “immaginosa, ritmica e spesso addirittura musicale”, i proverbi raccolti da Rossi Ferrini, consentono di ricostruire “da tutti i dispersi e diversi frammenti quasi l’edificio intero delle sensazioni, meditazioni e cognizioni faticosamente acquisite in fatto di vita agricola” dai tanti “laboriosi antenati” (D. Garoglio, Prefazione a Rossi Ferrini)



Dicembre favaio
“Quando al Dicembre il vento irato freme;
E nei recessi de le curve sponde
Le foglie che rubò raccoglie insieme”

Si sta bene davanti ad un bel fuoco, mangiando la favarella, e facendo due chiacchere in famiglia. (favarella = impasto di fave cotto al forno)

Dicembre gelato, non va disprezzato

Dicembre, piglia e non rende
Così l’abate Marco Lastri: “il seme sta sotto terra senza nascere per tutto il mese”. Il che vuol dire, in altre parole, che il seme del frumento affidato troppo tardi al terreno, nasce a stento o non nasce affatto.

Dicembre, davanti si agghiaccia e di dietro ti offende

Per Sant’Ansano (1 dicembre), uno sotto ed uno in mano
Allude agli scaldini

Se piove ‘l dì de Santa Bibiana (2 dicembre), piove quaranta dì e ‘na setimana (Veneto)

San Nicolò da Bari (6 dicembre), festa dei scolari: festa o no festa, a scola non se resta (Veneto)

A Santu Nicola, ‘a nivi supra ‘i bisola (Sicilia)
(‘i bisola = le soglie)

Di la ‘Mmaculata  a Santa Lucia, quanto nu passu di cucciavia (Sicilia)
“Intendi che dagli 8 a’ 13 Dicembre il giorno si allunga quanto un passo di allodola” (G. Pitré)

Per Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia

A Santa Lucia, la note pì lunga che ghe sia (Veneto)
“Questo e altri proverbi sono anteriori alla correzione del calendario fatta nel 1582 da Gregorio XIII, che fissò al 21 il solstizio. Il quale in quell’anno doveva essere il 10 Dicembre, ed ora (nel 1882) sarebbe al 7. Il solstizio fu al 13 nel secondo quarto del XIV, epoca precisa in cui fu fatto il proverbio (C. Pasqualigo)

Da Santa Lucia a Natale, il dì si allunga un passo di cane

Da Santa Lusia a Nadal, le si slonga un piè de gal

Da Santa Lusia, ‘na ponta d’ùcia (Veneto)
(ùcia = ago)

Da Santa Lussìa, cresce u giorno quanto u gallo pia (Genovese)

Da Santa Lusia, el fret se mete in via (Veneto)
(fret = freddo)

Per San Tommè (21 dicembre), le giornate allungano quanto il gallo alza il piè

Da San Tomìo, le zornàe torna in drio (Veneto)

Per San Tommè, piglia il porco per lo piè
I contadini un po’ agiati – commenta il Giusti- ingrassano un porco, il quale sogliono ammazzare al principio dell’inverno, e serve poi tutto l’anno pel consumo di casa

A San Tomìo, el regal se dà indrio (Verona) 
In tal giorno, scrive il Pasqualigo, “le amorose ricambiano gli amanti del regalo fatto loro il giorno di Santa Lucia” 

Vigilia de Nadal, la note scura, el formento no g’ha più paura (Veneto)

Quando Natale viene di Domenica, vendi la tonaca per comprar la melica

Natale di Venerdì, vale due poderi; se viene di Domenica, vendi i bovi e compra la melica

Quando Nadale vien de Domeniga, vendi ‘l porco e compra la melega; e tienla presso de tì, fin che Nadale vien de Martedì
Se Natale cade di Domenica, si profetizza (chissà perché?) un’annata di carestia: perciò i toscani consigliano il contadino di vendere magari i cenci ed i bovi, ed i veneti il porco, per far provvigione di granturco o formentone

A Natale, freddo cordiale

Avanti Natale, il freddo non fa male; da Natale in là, il freddo se ne va

Fino a Nadal, poco fredo pol far; e da Nadale indrio, fredo e fame te vien drio (Veneto)

La neve prima di Natale è madre, dopo è matrigna

Per ‘na setimana, la neve xe mare; per di più, la xe maregna; e dopo la deventa tègna (Veneto)

De Nadàl, ö cantada de gal (Bergamo)

Di Natali all’annu novu, quantu un passu d’omu (Sicilia)
Il giorno si allunga un po’, di qualche minuto

Se tu vedi ‘l formento de Nadal, mazza ‘l can; se ‘l formento non te vedi, daghe del pan (Veneto)
“se il frumento è rigoglioso nel Natale, come avviene nei giorni che domina lungamente lo scirocco, c’è da temere uno scarso raccolto” (C. Pasqualigo)

A Natale, mezzo pane; a Pasqua mezzo vino
“Procurare d’ avere in casa a Natale la metà del pane per il consumo ed a Pasqua mezzo il vino per le imminenti faccende” (G. Giusti)

Natale al gioco, Pasqua al foco

Chi fa Ceppo al sole, fa Pasqua al foco

A Natal el solët, a Pasqua el tissonet (Piemonte)

L’an che se süda de Nadal, de Pasqua se trema senza fal (Bergamo)

De Nadal al fogo, de Pasqua al zogo (Trieste)

Natale in pantanella, Pasqua in polverella (Marche)

Pri San Silvestri, la nivi a li finestri (Sicilia)


Ecco il Calendario di questo mese riassunto in un detto:
Al primo di Dicembre è Sant’Ansano; a’ quattro Santa Barbara beata; a’ sei, San Niccolò che vien per via; ai sette, Sant’Ambrogio da Milano; agli otto, Concezion Santa Maria; a’ nove, mi cheto; a’ dieci, la Madonna di Loreto;  a’ dodici, convien che digiuniamo perché ai tredici abbiam Santa Lucia; ai ventuno, san Tommè la chiesa canta; e ‘l venticinque, abbiam la Pasqua Santa; e po ci sono gl’Innocentini; ed alla fine di tutto il resto, se ne viene San Silvestro (Pisano).

In altri paesi si ripete lo stesso dettato con qualche lieve variante; ed alcuni sogliono aggiungere, dopo gl’Innocentini: - finite le Feste, finiti i quattrini