Festeggiare il Natale addobbando un albero (vero)

di Orazio la Marca
  • 09 January 2020

Ogni anno, con l’approssimarsi delle feste natalizie, c’è qualcuno che si sente offeso dall’usanza di addobbare, in casa o in una piazza, un albero. Questa volta è  stato il “Corriere della Sera” a dedicare un ampio spazio all’addobbo con luci “sceme” di piante maestose coltivate in boschi più o meno lontani dal luogo di esposizione. Ci si chiede quale diritto abbiamo di abbattere gli abeti per festeggiare il Natale, quale diritto abbiamo di ..”sradicare un albero dalla sua foresta….e poi buttarlo in una discarica” (Cfr. Corriere della Sera, 13 dicembre 2019).
Fortunatamente, per il rispetto della diversità di opinioni, sempre sullo stesso quotidiano si informano i lettori che l’albero di Natale vero, dal punto di vista della sostenibilità batte quello sintetico.
Come già affermato in alcuni lavori a partire da circa 30 anni fa ed ancor prima a firma di  Gambi (1967) e  Famiglietti (1972), l’impiego dell’albero di Natale vero è da preferire a quello di materiali sintetici sia se si fa un bilancio delle emissioni in fase di produzione, ed in fase di smaltimento. Ciò nonostante secondo i dati forniti da Coldiretti e riportati dal secondo articolo del “Corriere della Sera” …” i 5 milioni di abeti in plastica acquistati in media ogni anno emettono gli stessi gas di sei milioni di chilometri percorsi in macchina”.  Sempre secondo la suddetta fonte quest’anno verranno addobbati nelle case poco meno di 8 milioni di alberi di cui soltanto 3,5 milioni saranno naturali e, si spera provenienti da filiera corta.
A questo proposito vorrei far presente al lettore che, giustamente, si preoccupa se vengono sradicati alberi dalle foreste per addobbare case e luoghi pubblici per pochi giorni che ciò, normalmente, non avviene perché ci sono in Italia leggi che vietano di tagliare dalle foreste piante da destinare ad alberi di Natale. Figuriamoci poi se si consente il loro sradicamento. L’accostamento delle piante, incontestabilmente esseri viventi, alle pietre ed anche l’uso del termine “cadavere”, certamente improprio per una pianta, rappresentano termini che possono colpire la sensibilità e dare un’informazione distorta al lettore. Per quanto riguarda la sensibilità e l’intelligenza delle piante preferisco in questa sede non addentrarmi.
Tengo comunque a far presente che il taglio delle piante dalle foreste è regolamentato da leggi nazionali e regionali, le prime risalgono all’unità d’Italia. Anzi ancor prima dell’Unità dell’Italia vi erano Stati che avevano regolamentato questa materia. Né va dimenticato che nel nostro Paese esistono organi che vigilano sul rispetto delle leggi.
Ammesso che ci sia qualche furbo che asporti qualche albero che cresce nei boschi per utilizzarlo come albero di Natale, sono il primo ad auspicare che venga scoperto e sanzionato come prescrivono le nostre leggi. D’altra parte sarebbe come affermare che, in presenza di qualche pescatore di frodo, si auspichi la messa al bando dell’intera attività piuttosto che perseguire il furbo di turno.
Può accadere invece che, piante che ordinariamente vengono abbattute in ordinarie operazioni selvicolturali perché sovrannumerarie (ovvero per far crescere meglio e in maniera più equilibrata altre piante), vengano recuperate approfittando dell’occasione delle feste natalizie. Queste piante per essere poste in commercio debbono essere dotate di un cartellino che identifichi la provenienza e l’autorizzazione concessa a questo riguardo. In questi giorni è possibile imbattersi in vendite di cimali di abeti da impiegare come alberi di Natale che, in altre stagioni dell’anno, o restano a marcire in bosco oppure finiscono per essere ridotti in scaglie (tecnicamente chips) per produrre calore in una stufa o energia in un impianto per la produzione di elettricità da biomasse. In alcuni casi la possibilità di destinare parte dei cimali come alberi di Natale rende fattibile l’intervento colturale che migliora le condizioni eco-fisiologiche delle piante che restano in bosco dopo il diradamento.
Più di frequente, invece, le piante utilizzate come alberi di Natale provengono da coltivazioni specializzate che, oltre a rappresentare un’attività economica al pari di tante altre, in montagna danno un contributo teso a evitare l’abbandono di terreni non più coltivati per produzioni agro-alimentari e per il pascolo degli animali in produzione zootecnica.
Secondo un’indagine effettuata circa 30 anni fa, sulla base delle dichiarazioni obbligatoriamente presentate agli Enti competenti per l’autorizzazione a questa particolare coltivazione, emerse che, limitatamente alla Regione Toscana erano destinati alla coltivazione degli alberi di Natale 630 ettari di terreni in gran parte ubicati in collina e in montagna, distribuiti tra 532 produttori. In media ogni produttore coltivava circa 1,20 ettari di terreno ad alberi di Natale. Gli approfondimenti ai suddetti dati statistici evidenziarono che, oltre a interessare piccoli produttori, molti erano anziani che trovavano nella suddetta coltivazione il modo per rimanere attivi e per integrare il proprio reddito.
Chi si occupa di attività economiche in zone naturalmente svantaggiate come la collina e, ancor di più, la montagna, sa ben valutare l’importanza che assumono gli aspetti occupazionali in attività assolutamente sostenibili come la coltivazione degli alberi di Natale.
Chi pensa invece che in questo modo si sprechino piantine che potrebbero andare ad incrementare la superficie dei nostri boschi, oppure che in questo modo si impoverisca il nostro patrimonio boschivo, ignora l’esistenza di vivai specializzati nella produzione di piantine che, per essere impiegate nel rimboschimento, oltre all’obbligo di certificazione riguardo alla provenienza, debbono soddisfare anche altri requisiti qualitativi che aumentano le possibilità di attecchimento. Anche questa attività è soggetta a norme specifiche che garantiscono il corretto impiego, la tutela dei patrimoni genetici etc etc.
In altre parole la produzione di piante per il mercato degli alberi di Natale rappresenta una dignitosa attività economica al pari di tante altre che vengono praticate in agricoltura, al pari di quella rivolta alla coltivazione di piante ornamentali o di fiori per abbellire i nostri ambienti o per rendere omaggio a una persona cara, al pari dell’allevamento di pesci per l’alimentazione umana. Nessuno ha mai considerato l’itticoltura un’attività che impoverisce i nostri mari, semmai è vero il contrario. Allo stesso modo si può dire che l’impiego di alberi di Natale provenienti da coltivazioni specializzate contrasta l’impiego di piante di materiali sintetici che hanno un notevole costo energetico in fase di produzione e un altrettanto elevato costo in fase di smaltimento in discarica una volta che non sono più utilizzabili. L’albero di Natale vero talvolta termina il suo percorso in una stufa o in un caminetto, quand’anche finisse in discarica non costituisce alcuna forma di inquinamento e neppure contribuisce all’aumento di gas serra in quanto rappresenta comunque materiale organico prodotto dalla fotosintesi.
Le prime testimonianze scritte sulla tradizione all’addobbo dell’albero di Natale risalgono al 1600 e si riferiscono ad un’usanza piuttosto limitata. Goethe nel 1765 descriveva l’albero di Natale con il presepe nella casa della nonna a Lipsia. Secondo alcuni Autori la tradizione di addobbare gli alberi ha origini pagane, successivamente adottata dai Cristiani. Qualcuno vede l’origine della tradizione dell’albero di Natale nell’usanza, da parte dei Romani, di adornare piante in occasione delle feste saturnali.
Mi pare che, con tutto il rispetto per chi la pensa diversamente, si possa tranquillizzare chi vede nell’addobbo dell’albero di Natale un momento di gioia e di serenità delle feste natalizie, senza ripercussioni per il nostro patrimonio boschivo e più in generale per l’ambiente, a rischio di ben altre minacce.
Se poi il discorso è fatto ad arte per demonizzare il taglio delle piante dai boschi, si può ancora una volta tranquillizzare il lettore: nel nostro Paese, come in tutta l’Europa, nascono e si sviluppano molte più piante di quelle che vengono tagliate. La superficie dei nostri boschi è in crescita al punto tale che in molti ambienti di montagna si corre ai ripari per evitare che il bosco si espanda a dismisura con conseguenze su alcune attività antropiche e sul paesaggio (incentivi per tenere falciati i prati-pascolo, ricorso a greggi “di servizio” da oltralpe per sopperire alla diminuzione degli allevamenti di bestiame domestico nel nostro Paese. In alcune proprietà demaniali della Regione Toscana si ripuliscono dagli arbusti terreni che una volta erano seminativi o pascoli sia per conservare determinati paesaggi agro-silvo-pastorali, sia per far diminuire la pressione della fauna selvatica sui boschi).
Le informazioni e i dati sopra riportati, secondo una ricerca condotta su internet, oltre a manifestare una crescente sensibilità per il rispetto dell’ambiente anche per quanto riguarda le scelte relative all’albero di Natale, si arricchiscono di ulteriori conoscenze utili per scelte maggiormente consapevoli al fine di optare per un albero vero o sintetico. Secondo l'Associazione dei Florovivaisti Italiani per realizzare un albero di Natale di plastica medio (10 kg circa) occorrono 20 kg di petrolio e 23 kg di CO2 emessa nell’atmosfera, alle quali si aggiunge il petrolio che serve al trasporto dalla Cina, da cui viene l’80% di questi prodotti. Si calcola servano 2 secoli per smaltirli. Se l’obiettivo è il rispetto dell’ambiente e, perché no il risparmio, si deve osservare che il metodo più ecologico consiste nell’addobbare un albero vero con radici piantato in un vaso capiente, tenerlo curato durante le feste natalizie (basta posizionarlo lontano dai caloriferi e mantenere sufficientemente umido il terreno) e poi metterlo sul terrazzo di casa e sottoporlo alle stesse cure delle altre piante. In questo modo è possibile riciclare per diversi anni l’albero di Natale. In alcune città esistono già organizzazioni che si occupano di recuperare gli alberi di Natale per trapiantarli (almeno in parte) in appositi vivai. Esiste anche la possibilità di prendere a “prestito” l’albero di Natale. Si acquista, si utilizza e si riporta al negozio che lo ha venduto per essere rimborsati.
Il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università degli Studi di Firenze ha diffuso un breve documento che riprende molti dei concetti che qui sono stati espressi e, pare interessante aggiungere, richiama l’attenzione su una falsa informazione sugli alberi sintetici: questi prodotti sono stati pubblicizzati come “alberi ecologici”, trasmettendo in modo più o meno diretto il messaggio per cui: “acquistando un albero di plastica si potrebbe salvare un albero vero”. La falsa informazione nella scelta dell’albero sintetico è insita nel messaggio “ecologico” e nell’accreditare l’idea che così operando si sottrae all’ambiente una pianta vera. Un altro messaggio importante contenuto nel suddetto documento riguarda l’inopportunità di trapiantare in bosco l’albero utilizzato per le feste di Natale: si correrebbe il rischio di alterare i delicati equilibri ecologici che regolano le nostre foreste.
Interessante segnalare infine una recente Tesi di Laurea magistrale discussa pochi giorni fa da Lapo Azzini a Firenze dal titolo: L’albero di Natale che fa bene all’ambiente. Il neo dottore ha ricostruito il ciclo di vita degli abeti veri e di quelli di plastica per determinare il rispettivo impatto ambientale. E’ risultato che, anche escludendo le emissioni generate dallo smaltimento delle due tipologie di albero e senza considerare che per produrli in un caso si utilizza carbonio fossile e nell’altro biogenico, quello coltivato nelle aziende agricole ha un impatto sul riscaldamento globale molto ridotto rispetto a quello artificiale. I conti infatti ci mostrano che, pur ipotizzando di sostituire l’albero naturale ogni anno, per poter pareggiare le emissioni, per un abete artificiale di tipo “base” sono necessari 15 anni di riutilizzo e, nel caso della tipologia “premium”, sono necessari addirittura 38 anni.
Si ritiene che fare corretta informazione dovrebbe essere un obiettivo di chiunque scrive su una rivista o un quotidiano, a maggior ragione se si considera esperto della materia che sta trattando.