Tradizione e innovazione possono coesistere, parola di agricoltore

Intervista a Piero Rondolino, proprietario del marchio Acquerello e accademico aggregato dei Georgofili

di Giulia Bartalozzi
  • 23 November 2022

Dottor Rondolino, la sua famiglia produce riso da quasi un secolo e Lei è il creatore di un riso particolare, "Acquerello", recentemente entrato a far parte dei grandi brand di Fondazione Altagamma, l’associazione che raggruppa i Brand Italiani di indiscussa reputazione internazionale. Ci racconta brevemente la storia di questo riso e le sue caratteristiche?
Nel 1971 dopo la laurea in architettura ho preso il testimone da mio padre Cesare che dal 1935 coltivava riso alla Tenuta Colombara. Partendo dalla coltivazione tradizionale ho innovato nella meccanizzazione e refrigerazione del risone e nel 1992 iniziato la strada della filiera corta con la produzione di Acquerello in lattina. Nel 2007 ho brevettato il reintegro della gemma ottenendo un riso bianco che recupera i valori nutrizionali più importanti (vitamine e sali minerali) del riso integrale. Dal 2020 i miei figli hanno continuato nell’innovazione con un 2° brevetto per un nuovo prodotto, Black, la grande gemma del riso nero.

In che misura avete risentito della straordinaria siccità della scorsa estate? Come avete affrontato il problema e come pensa che vi muoverete in un futuro sempre più condizionato dai cambiamenti climatici?
L’anno agronomico appena trascorso 13/11/2021 – 10/11/2022 ha avuto delle anomalie climatiche che, per quanto ci è dato sapere, non si sono mai verificate contemporaneamente in tempi storici. 12 mesi con sporadiche piogge e alte temperature per lungo tempo hanno poco o tanto lasciato il segno su quasi tutte le specie vegetali. La coltivazione del riso ne ha risentito in modo molto diverso da caso a caso. È da tener presente che per coltivare riso e ottenere una quantità e qualità di produzione economicamente soddisfacente è necessario si realizzino contemporaneamente 3 condizioni.
-La prima condizione necessaria è la temperatura che nelle zone sub tropicali come l’Italia non deve essere troppo bassa (problema per ora inesistente per l’aumento di 1-2° negli ultimi 50 anni) ma neanche troppo alta e per un periodo troppo lungo (problema emerso nel 2022 per le 17 ore al giorno di insolazione estiva alle nostre latitudini) che ha danneggiato la formazione del chicco, con conseguente minore produzione e resa alla lavorazione in bianco avvenuti in modo diverso da caso a caso.
Per questa prima condizione c’è agronomicamente molto poco da fare.
-La seconda condizione è la disponibilità costante di acqua nel periodo della sommersione perché  il riso, pur non essendo una pianta acquatica, ha fin dall’origine sviluppato la caratteristica di crescere e produrre bene solo se coltivato in sommersione. La coltivazione per scorrimento non può dare la stessa quantità e qualità, è ancor peggio nella coltivazione in asciutto. La ricerca di varietà adatte alla coltivazione per scorrimento non è certo una novità e non ha mai dato risultati economici soddisfacenti in tutti i continenti in cui è stata sperimentata.
Per questa seconda condizione è necessario trattenere nei bacini di accumulo il più acqua  possibile anche ripompandola nello stesso bacino dopo l’utilizzo per produzione di energia elettrica (la legge Merli impone l’utilizzo prioritario dell’acqua per uso civile, poi per uso agricolo e solo in terzo ordine per uso industriale). Utile potrebbe essere la costruzione di piccoli e medi invasi, anche a uso idroelettrico, che non altererebbero l’ambiente. Le associazioni che gestiscono  canali irrigui sarebbe utile dessero l’immediata disponibilità dell’acqua agli agricoltori che ne facciano richiesta in modo da iniziare a sommergere e arricchire le prime falde. Le risaie sono come una spugna che trattiene l’acqua e la rilascia lentamente nelle falde superficiali e nelle risaie a valle; inoltre conservano l’acqua delle eventuali piogge, riducendo i rischi di alluvioni e limitando  così il disperdimento nei corsi d’acqua e poi nell’acqua salata del mare.
-La terza condizione è il terreno, ma soprattutto quello sotto il primo strato fertile (20cm), che deve essere il più impermeabile possibile: roccia (le risaie a terrazza in Asia) o argilla.
Per questa terza condizione, è da dare assoluto privilegio alla coltivazione nei terreni storicamente vocati a riso, quelli argillosi che necessitano per essere costantemente sommersi di 1 litro al secondo per ettaro invece dei 5-10 litri dei terreni sabbiosi. L’anno trascorso ha evidenziato quanto è da sempre noto che i terreni sabbiosi, sono rari in provincia di Vercelli, non sono ideali per la coltivazione del riso perché per restare costantemente sommersi necessitano di una grande quantità di acqua che non sempre è disponibile; infatti è risultato che sono stati quelli che hanno avuto i più significativi danni di produzione. È inoltre da tenere presente che una coltivazione di riso a macchia d’olio in rotazione con altre colture non realizza la migliore conservazione e il recupero dell’acqua. A riprova di ciò anche nell’altro emisfero a Bali per risparmiare l’acqua ai risicoltori è imposto di seminare tutti in contemporanea (naturalmente 2 volte all’anno perché sono in zona equatoriale). È universalmente noto che la più preziosa ricchezza per la produzione agricola sono i terreni seminativi adatti ad essere irrigati.
Per quanto riguarda la nostra coltivazione di riso alla Tenuta Colombara di Livorno Ferraris in Vercelli, l’acqua proviene da un canale che nasce dal bacino imbrifero della Valle d’Aosta, il più grande d’Europa, con 43 vette oltre i 4 mila metri. L’acqua ci è stata distribuita in quantità ridotta, ma sufficiente per ottenere un buon raccolto, sia perché abbiamo terreni ricchi di argilla che per un nostro personale molto attento controllo della sua regolazione. Sfortunatamente l’eccessiva e prolungata alta temperatura ha in parte ridotto la produzione e la resa alla lavorazione.

È di qualche giorno fa la notizia che l’Ente Nazionale Risi sia al lavoro su una nuova varietà più produttiva con meno acqua. Lei che cosa ne pensa dell’apporto della ricerca all’agricoltura?
Il mio parere da agricoltore è che i problemi dei cambiamenti climatici debbano essere affrontati con reale e profonda competenza scientifica e non in modo demagogico cercando facili consensi, perché altrimenti la natura vincerà sempre a discapito dell’ambiente e della necessaria produzione agricola oggi pericolosamente compromessa, a volte persino erroneamente demonizzata.

In un’azienda come la sua, in che modo riuscite a coniugare tradizione e innovazione?
Tradizione e innovazione sono per noi assolutamente inscindibili non solo culturalmente ma anche tecnicamente. Alla Tenuta Colombara tutti i fabbricati e le cose sono conservati senza essere restaurati, è il nostro modo di rispettarli, per preservarne l’anima e non ferirli con inutili restauri. Tutto quello che noi facciamo è studiare i valori del passato e fonderli con il meglio del presente per creare un prodotto nuovo per un futuro migliore. È come una spirale che parte dalla conoscenza, passa attraverso l’innovazione per arrivare alla tradizione che diventa nuova conoscenza e così all’infinito.