Uno stress idrico quasi permanente

La siccità in Italia: relazione della sezione Nord-Est dell’Accademia dei Georgofili

di Giuliano Mosca
  • 27 July 2022

Tom Gleeson et al. (2020) in un recente articolo intitolato “La dimensione planetaria dell'acqua: analisi e revisione” afferma che il quadro dei confini planetari propone delle barriere quantificate alla modifica umana dei processi ambientali globali che regolano la stabilità del pianeta. Detto quadro d’insieme è stato considerato in termini di sostenibilità, nella governance e nella gestione aziendale. Il limite all'uso umano dell'acqua dolce è stato criticato come singolare misura che non tiene conto di tutti i tipi di interazione umana con il complesso ciclo globale dell'acqua e il Sistema Terra. Si suggerisce che il confine planetario dell'acqua renderà questo limite scientificamente più solido e più utile nei quadri decisionali se viene riprogettato considerando più specificamente come il clima e gli ecosistemi viventi rispondono ai cambiamenti nelle diverse forme terrestri di acqua: acqua atmosferica, acqua ghiacciata, acque sotterranee, umidità del suolo e acque superficiali. Lo studio di Gleeson et al. fornisce un'ambiziosa roadmap scientifica per definire un nuovo confine planetario dell’acqua composto da sottoconfini che rappresentano una varietà di cambiamenti nel ciclo dell'acqua.
Si consiglia la lettura di questo articolo per avere un’idea della complessità della questione  “acqua”.


Origine e diffusione del riso
E’ noto che quando le condizioni di vita migliorano, un Paese attraversa fasi successive dette di transizione demografica. Quando la quantità dei decessi rallenta, e anche quella delle nascite rallenta ma, con un certo ritardo, il risultato finale è che la popolazione mondiale aumenta vertiginosamente. Il cibo quindi diventa addirittura più che strategico. Molto probabilmente è tempo di un’altra “rivoluzione verde”, dopo quelle di Nazareno Strampelli e Norman Borlaug.
Il riso è una delle colture più diffusamente presenti sul pianeta e forte utilizzatore di acqua. Su scala mondiale, negli anni si alterna per importanza con le superfici e produzioni globali di frumento e mais.
La geografia dell’origine e diffusione del riso ha trovato precise conferme cronologiche negli scavi archeologici condotti nei villaggi preistorici e protostorici di molte regioni dell’Asia. In alcuni casi, per individuare le tracce della presenza del riso nei depositi archeologici, sono stati esaminati campioni di terreno archeologico o di cenere dei focolari alla ricerca di piccolissime particelle di silice praticamente indistruttibili, dette fitoliti, che nella pianta di riso svolgono compiti di particolare importanza. Lo studio dei reperti vegetali, semi, impronte e fitoliti, ha permesso di accertare se i reperti rinvenuti fossero di riso selvatico o di riso domestico e, in alcuni casi, è stato anche possibile stabilire a quale delle tre sottospecie essi appartenevano.
È stato così possibile stabilire che già 15.000 anni fa il riso selvatico costituiva una importante fonte di cibo per le popolazioni preistoriche di alcune regioni della Thailandia, del Vietnam, della Corea, della Cina e di alcune isole del sud-est asiatico. Sappiamo inoltre che i più antichi resti di riso coltivato sono stati trovati nella Cina orientale e nell’India nord-orientale e risalgono a oltre 7.000 anni fa. Le prime testimonianze della coltivazione del riso in campi non sommersi dalle acque, né irrigati, ma la cui umidità dipendeva solo dalle piogge, sono state trovate nella Cina settentrionale e sono state datate a circa 5.000 anni fa.   Dalla documentazione archeologica è noto inoltre che, tra il quarto e il terzo millennio a. C., la coltivazione del riso ebbe una rapida espansione verso le regioni sud-orientali dell’Asia continentale e verso ovest, attraverso l’India e il Pakistan, fino a raggiungere le alte valli del fiume Indo. La discesa lungo l’Indo, per raggiungere l’attuale regione del Belucistan, avvenne circa mille anni più tardi e fu probabilmente questa l’ultima migrazione, in ordine di tempo, del riso verso occidente. Dovranno trascorrere altri mille anni prima che il riso venga conosciuto nel mondo classico ed altri mille anni ancora per arrivare alla sua coltivazione nel Bacino del Mediterraneo, dove fu introdotto dagli Arabi. Il mondo mediterraneo classico conobbe il riso orientale solo dopo la conquista dell’Asia da parte di Alessandro Magno. Teofrasto, contemporaneo di Alessandro, fu il primo a descrivere il riso nel suo trattato sulla storia delle piante. Ne parlò come di un cereale che cresceva in acqua per lungo tempo e i cui semi erano particolarmente idonei ad essere bolliti per soddisfare le esigenze alimentari dei popoli dell’Asia. Ancora più dettagliata è la descrizione lasciataci da Aristobolo, compagno di Alessandro nelle spedizioni in Asia, secondo il quale il riso veniva coltivato in aiuole chiuse e ben irrigate; era un pianta alta quattro piedi, abbondante di spighe e ricca di semi. Secondo Aristobolo il riso si coltivava nella Battriana (Afghanistan) e nelle terre del basso corso del Tigri e dell’Eufrate dove era arrivato, evidentemente, prima del passaggio dell’esercito di Alessandro. Il riso, quindi, prima del quarto secolo a. C. aveva già raggiunto il Vicino Oriente, ma non si era ancora diffuso nelle regioni limitrofe.
Dalle descrizioni riportate nel Periplo del Mare Eritreo, un resoconto della geografia portuale databile al primo secolo d. C., sappiamo che il grano e il riso erano prodotti che venivano scambiati lungo le rotte del Golfo Persico e del Mar Rosso. La conoscenza del riso nel mondo romano non fu quella di un cereale adatto all’alimentazione umana ma piuttosto quella di un prodotto medicamentoso che, sotto forma di decotto, veniva prescritto dai medici ai pazienti più ricchi per curare le malattie del corpo, come ricordato da Orazio. L’Egitto fu la prima tappa del percorso che portò il riso a diffondersi nel Mediterraneo. Si deve alla colonizzazione araba il trasferimento della coltivazione del riso dall’Egitto alla Spagna, probabilmente poco dopo il 1000 d. C.. La conquista araba del Mediterraneo occidentale favorì la diffusione della coltivazione del riso sia per soddisfare le esigenze degli stessi arabi, sia perché il riso iniziava ad entrare nelle abitudini alimentari dei popoli conquistati.
In Italia il riso era conosciuto molto prima che se ne iniziasse la coltivazione, perché era considerato una spezia ed era venduto per scopi terapeutici. Qualche traccia della presenza del riso in Italia si trova già in documenti del 1390, però non è chiaro a chi si deve l’introduzione di questo cereale. Dalla Lombardia la coltivazione del riso si estese con rapidità a tutte le zone paludose della Pianura Padana. A tale diffusione seguì però un aumento dei casi di malaria e furono molti i provvedimenti che cercarono di limitarne la coltivazione in prossimità degli abitati. Nonostante i divieti, la coltivazione del riso continuò ad espandersi perché la sua resa e il conseguente guadagno, rispetto ai cereali tradizionali, erano così alti da far prevalere il fattore economico sul rischio di malattie. Il riso ebbe dunque una immediata diffusione, malgrado i rischi che derivavano dalla sua coltivazione, i dazi e i divieti*. Probabilmente il suo successo si deve anche alla crisi alimentare che si registrò in tutto il Mediterraneo occidentale nel XVI secolo. Le carestie si alternavano alla peste, i raccolti erano scarsi e non era facile approvvigionarsi all’estero. In queste condizioni il riso fu quindi considerato il cereale che poteva in qualche modo far fronte alle richieste di una popolazione sull’orlo della fame. Dalla Lombardia e dal Piemonte la coltivazione del riso si diffuse anche in Veneto, in Emilia e in Toscana, dove la penetrazione fu più lenta a causa della minore disponibilità di acqua. All’inizio la Serenissima aveva ostacolato e poi proibito la coltivazione a causa della diffusione della malaria. Alla fine del XVII secolo la coltivazione del riso era ampiamente consolidata nella pianura del Po, in Toscana ed in qualche area della Calabria e della Sicilia. Nel 1700 le risaie del territorio milanese coprivano una superficie di oltre 20.000 ha, mentre un secolo e mezzo dopo le sole risaie del vercellese raggiungevano i 30.000 ha.

(* Della Regolation delle risare: et della prohibition di metter a semina di Risi niuna sorte di terreni, buoni per seminarui Formenti. Parti dell’Eccellentiss. Senato di 17. Settembre 1594. & di 15. Luglio 1595, [Venezia] s. d. [1595], che attesta i problemi derivanti dall’eccessiva estensione delle coltivazioni di riso).


Alcuni modi di dire locali
Vrihi, in sanscrito, significa “pianta che sfama senza venir mai a noia”; Brizi, in Iran; Orizi, in greco; il riso è il famoso cereale simbolo di pace e prosperità. In Cina, per molto tempo, il riso è stato utilizzato come moneta corrente. La parola Toyota significa “generoso campo di riso”, il termine Honda vuol dire “risaia principale”, in India quando nasce un bambino gli si mette in bocca un pizzico di riso in polvere, mentre l'estremo saluto ai defunti è rappresentato da una manciata di riso. I ricchi uomini d'affari giapponesi pagano migliaia di yen per mangiare il sushi (forma contratta di sumeshi = riso condito con aceto di riso, elemento base di tutti i piatti di sushi) sul corpo di una geisha. Il rituale chiamato nyotaimori ossia “corpo decorato di una donna”, l'arte suprema di servire in Giappone.
Alcune allocuzioni locali:...vieni a mangiare il mio riso...(in Thailandia è l'invito a  pranzo); ”non sperare solo nel riso, non riporre fiducia solo nei sogni, perché all'alba non esistono più” (dai racconti leggendari e dai proverbi diffusi nelle Filippine e in Indonesia, celebri i famosi pantun indonesiani): è facile piantare il riso, difficile raccoglierlo.


2022 - Stress idrico nel Nord-Est
Tre territori tipici per la coltivazione del riso di elevata qualità sono rappresentati dal rodigino (Polesine), dal basso veronese (Isola della Scala) e dal vicentino (Grumolo delle Abbadesse). Si tratta di piccoli areali di coltivazione per un complesso di qualche migliaio di ettari, mentre oltre il 90% della risicoltura nazionale si svolge tra Piemonte e Lombardia.
Per determinati areali come questi i così detti “prodotti tipici” rivestono una particolare rilevanza economica, sociale e territoriale. Sono importanti strumenti di sviluppo economico, di conservazione e rinnovo di valori legati alle tradizioni delle comunità locali. Da tutto ciò traspare che un prodotto tipico è il risultato dell'interazione di più fattori essenziali: l'ambiente, le capacità umane, la cultura, le istituzioni.
Le statistiche della FAO riportano che una delle maggiori minacce per la produttività agricola risulta essere la salinità, che modifica il potenziale idrico di un suolo, abbassandolo, e rendendo difficile per le piante estrarre l'acqua di cui hanno bisogno. Attualmente un’area pari a 800 milioni di ettari, circa il 6% della superficie arabile, ha un contenuto eccessivo di sali, e la situazione peggiora di anno in anno. .
L'acqua è tra le principali risorse strategiche per un'agricoltura progredita. Purtroppo ce n'è sempre meno. Per poter discutere dei danni che uno stress idrico prolungato può provocare alla coltura del riso, classicamente gestito in sommersione, è utile ricordare quali sono i principali tratti genetici, morfologici e fisiologici dell’attuale pianta di riso.

Il genere Oryza e le caratteristiche morfo-fenologiche
Il riso (Oryza sativa L.) è una pianta monocotiledone appartenente alla famiglia delle graminacee e viene distinta dagli altri cereali come costituente della sotto famiglia delle Ehrhartoideae. Il genere Oryza, che include 21 specie selvatiche e 2 varietà coltivate, venne caratterizzato da Linneo nel 1753 e il numero aploide dei suoi cromosomi determinato da Kuwada nel 1910, ben 46 anni prima che lo stesso accertamento fosse effettuato sull’uomo.
Le specie selvatiche occupano un vasto habitat, distribuendosi fra tropici e zone subtropicali di Asia, America centrale e meridionale, Africa e Australia. Delle due forme coltivate, O. glaberrima o riso africano è circoscritta all’Africa occidentale, mentre O. sativa è coltivata in 112 paesi, distribuendosi in tutti i continenti fatta eccezione dell’Antartide. In generale queste due specie di interesse agronomico hanno un ciclo vitale che può variare da 3 a 6 mesi e sono considerate piante semi-acquatiche, anche se alcune varietà crescono in terreni non irrigati.
Lo sviluppo della pianta viene suddiviso in due fasi: quella vegetativa, dalla germinazione allo sviluppo della pianta, e quella riproduttiva, responsabile della formazione e maturazione dei frutti. Il riso è una specie modello, possiede 12 paia di cromosomi e un genoma molto compatto (500 milioni di basi) se confrontato con altri cereali. O. sativa conta due sotto-specie, indica e japonica, caratterizzate da un genoma AA (2n=2x=24).
Tra le graminacee, il riso è la specie dotata del genoma più piccolo. Riguardo l’origine della specie un team internazionale di ricercatori, usando la tecnica chiamata “orologio molecolare”, è giunto a stabilire che le due subspecie più importanti di riso asiatico, Oryza sativa indica e Oryza sativa japonica, hanno un’unica origine a causa della stretta relazione genetica che le caratterizza. Finora un diverso modello basato sulla origine di una singola specie aveva invece fatto ritenere che le due subspecie si fossero sviluppate separatamente e in diverse parti della Asia dalla originaria e selvatica Oryza rufipogon.
Di recente poi la mappa genica è stata completata da un gruppo di ricercatori di 10 paesi coordinati dal Giappone ed è stato individuato il gene che aumenta del 20% la produttività del riso (PSTOL1 – Phosphorous Starvation TOLerance 1) sviluppando un apparato radicale molto più esteso che assorbe con maggior efficienza il fosforo. Mentre sempre riguardo le così dette capacità umane applicate al riso, sono state ottenute numerose innovazioni tramite transgenesi. Tra queste merita ricordare la resistenza alla salinità tramite l’accumulo di glicina-betaina-aldeide e la tolleranza alla siccità. Tuttavia i risultati finora raggiunti non consentono di superare il severo problema del deficit idrico registrato nel 2022.
La morfo-fisiologia del riso risulta caratterizzata da:

    1. numerosi accestimenti
    2. taglia ridotta
    3. culmo cavo
    4. presenza di aerenchimi
    5. radici superficiali
    6. infiorescenza allungata e molto fertile.

I canali aeriferi presenti  nei culmi consentono, alla pianta del riso, di accrescersi in modo ottimale in presenza di una lama d’acqua di spessore crescente in modo proporzionale al ritmo di allungamento dei fusti, mentre non necessita di importanti quantità d’acqua per la formazione della sua biomassa. In realtà la così detta sommersione della risaia ha una duplice funzione: la termoregolazione e il controllo delle malerbe. L’altezza dell’acqua tende a “soffocare” le infestanti tipiche dell’ambiente acquatico quale è la camera**. Malauguratamente quest’anno, data la sfavorevole condizione climatica (ultima pioggia utile a fine novembre 2021), i risicoltori veneti finora non sono stati in grado di gestire  in forma ottimale l’acqua concessa dai rispettivi consorzi di bonifica.
La fisiologia della pianta del riso prevede l’assorbimento radicale di una soluzione diluita di nutrienti. L’acqua viene poi restituita all’ambiente tramite il processo di evapotraspirazione. Il miglioramento genetico finora ha fornito varietà più produttive che devono nutrirsi meglio ed evapotraspirare in modo efficiente più acqua. Per il riso, l’acqua evapotraspirata  rappresenta il 14-15% del totale. La parte maggioritaria dell'acqua, dopo un lungo percorso nelle camere di risaia e nelle falde, ritorna gradualmente nei corsi d'acqua prossimi allo impianto, ad esempio nel Po.

(** Unità poderale di dimensione variabile entro cui si coltiva il riso. La camera è di piccole dimensioni nel caso di ambienti caratterizzati da orografia variabile, mentre diventa di grandi dimensioni in pianura. La camera per trattenere l’acqua di sommersione deve essere  arginata dai longhini e dai traversi. Inoltre, al fine di ridurre l’infiltrazione dell’acqua verso la falda, il fondo della risaia deve essere “impermeabilizzato” con successivi passaggi di attrezzi intasatori. Infine al fondo della camera dovrà essere data una leggera pendenza per favorire, all’inizio, l’ingresso e, a fine ciclo, la fuoriuscita relativamente rapida dell’acqua dalla camera).

Il riso: caratteristiche agronomiche
Per chi in passato praticava delle colture estensive come frumento, orzo o altro, il fattore acqua non è mai stato un problema, ma ora i climatologi hanno più volte lanciato l'allarme, dato che in futuro anche queste colture potrebbero risentire di una diminuzione delle precipitazioni, specialmente negli areali del Centro-Sud Italia. Un po’ più roseo si presenta il quadro per i risicoltori che comunque si devono confrontare con le insistenti richieste di un cambio di passo nell'uso dell'acqua. Le risaie infatti incamerano grandi quantità di risorse idriche, lasciandone meno per i territori a valle che nelle zone litoranee devono vedersela anche con il cuneo salino. Quest’anno, in prossimità del Delta, il Po presenta infatti una risalita della salsedine per circa 30-39 chilometri verso l’interno.
Quali possono essere le alternative alle tradizionali tecniche  di irrigazione come il vecchio scorrimento (infiltrazione da solchi) per il mais e la sommersione per il riso? Si possono mettere a confronto  varie tecniche agronomiche.
Già nel 1200 iniziò la realizzazione di una estesa e capillare rete di canalizzazione dei territori oggi risicoli, funzionale sia alla bonifica che all’irrigazione. Nelle provincie padano-orientali la risaia consentì un rapido ampliamento della superficie coltivata oltre all’impiego di un’ingente quantità di manodopera salariale (braccianti, pigionanti, disobbligati ecc.), Tra questi entrò in massa la popolazione rurale femminile spostandosi dalle terre densamente popolate del padovano e dell’alto Polesine verso le risaie ostigliesi e veronesi.
L’agricoltura, ed in particolare la risicoltura, è additata di un eccessivo “consumo” di acqua. L’acqua dolce non è “consumata”, ma utilizzata durante il  ciclo di evaporazione, formazione di nubi, piogge e scorrimento verso il mare. Solo quando finisce nel mare si può considerare “consumata”, o non più utilizzabile. In realtà il 71% della superficie terrestre è coperta d’acqua di cui il 97,5% è salata. Del restante 2,5% solo l'1% è utile per l’uomo, che lo impiega, al 93%,  per finalità agricole. Come si può constatare da queste proporzioni l’incidenza del consumo agricolo appare davvero modesto.
A giudizio dei risicoltori, la perdurante siccità del 2022 ridurrà di almeno un 30% la produzione di riso italiano (verifica attesa alla raccolta). A lanciare l’allarme sono le associazioni dei produttori che spiegano come le ondate di calore anomale e, soprattutto, le precipitazioni più che dimezzate di questi ultimi sei mesi, stiano prosciugando ettari su ettari di risaie al Nord. In tali condizioni il Paese finirà per giocarsi, sotto gli effetti dell’incognita clima, un altro mercato chiave come quello del riso che, con 1,6 milioni di tonnellate l’anno (2021) prodotte su circa 227.000 ettari, rappresenta oltre il 50% dell’intera produzione europea. Una coltura esclusiva e in ripresa (consumi: +16%), ma che adesso è messa a rischio dai rincari delle materie prime (concimi) e non sta beneficiando dell’aumento dei prezzi al punto vendita.
All’inizio dell’anno è entrata in vigore la norma sul “deflusso ecologico” che impone, tramite la limitazione dei prelievi irrigui, un maggiore deflusso verso i corsi d’acqua. Lo scopo è quello di poter diluire gli inquinanti presenti per sottostare ai limiti di legge. Ma la limitazione dell’irrigazione riduce la produzione di cibo per l’alimentazione umana. Per fortuna, a seguito dell’anomalo andamento meteorologico questo limite, in via straordinaria, è stato sospeso. Sospensione che, se applicata con un certo anticipo, avrebbe evitato che molta acqua venisse banalizzata finendo al mare.


La gestione dei corsi d’acqua e il climate change
Il trend climatico degli ultimi anni sembra portare verso eventi piovosi più radi ma intensi mentre lo scioglimento anticipato dei ghiacciai diminuisce le scorte.
Si stima che il ciclo dell’acqua sia breve e duri circa due settimane. Se si verificassero piogge molto più intense, si creerebbe un’intensificazione delle esondazioni anche a seguito della scarsa manutenzione di fiumi e torrenti.  Dopo gli anni ’60, la legislazione ha vietato il dragaggio della ghiaia dagli alvei fluviali ma i fiumi alpini, trascinando cospicue quantità di detriti e depositandoli lungo il corso continuano ad innalzare gli alvei. Per limitare i casi di esondazioni, si continuano ad elevare le arginature creando cioè un ambiente dove i pesci nuotano ad un livello più elevato del volo degli uccelli (fiumi pensili).
Non potendo regimare le piogge, in alternativa si può intervenire tramite due opzioni:
    • aumentare l’efficienza della rete scolante lungo tutto il percorso fino al mare;
    • realizzare degli invasi in grado di accumulare l’acqua in eccesso, abbassando il carico della rete durante gli eventi piovosi più intensi e utilizzandola durante i periodi di stress.
Le zone risicole rappresentano di per sé un grande invaso derivante dalla sommatoria dell’acqua di sommersione con la risalita dalle falde sottostanti, dove presenti. Evento, questo, purtroppo non realizzatosi in questa annata anomala. L’ultima siccità di intensità paragonabile a quella attuale risale al lontano 1965.  Se gli effetti negativi del cambiamento climatico perdurassero o addirittura aumentassero nel tempo la risicoltura italiana si troverebbe dunque in netta difficoltà.


La risicoltura
Agli inizi del XX secolo la coltivazione del riso in Val Padana richiedeva circa 1.200 ore per ettaro di lavoro umano, ridottesi, con le attuali tecnologie disponibili, a sole 20. Di queste, metà sono richieste per la coltivazione, mentre le altre per la manutenzione dei canali aziendali, arginature, scoline, livellamento delle camere, controllo della rete idraulica. Inoltre, i costi di gestione per la manutenzione dei canali principali e la loro regolazione restano a carico dei risicoltori. Queste attività risultano fondamentali per la gestione idrologica del territorio, con evidenti vantaggi ecosistemici.
Il metodo della sommersione, perfezionatosi nei secoli, ha sviluppato una tecnica di riutilizzo dell’acqua fatta scorrere lentamente entro le camere. Alcune esperienze stagionali (aprile-agosto) eseguite su di una camera standard (1 ettaro), hanno fornito i seguenti risultati.
    • ingresso 33-40.000 m3 con percolazioni in falda pari al 10-13%;
    • scarico recuperato (“colature”) pari al 73-76%;
    • evapotraspirazione corrispondente al 14%.
Le percolazioni in falda in parte risalgono e vengono riutilizzate, in parte cedute lentamente al Po. Le colature possono essere addotte alle camere sottostanti e riutilizzate più volte prima di essere banalizzate.
In tempi recenti, per tentare di ridurre l’impiego di acqua in risicoltura, sono state fatte delle sperimentazioni per migliorarne ulteriormente l’utilizzo.

    • Semina in asciutta
La semina interrata a file su terreno non sommerso, specie nel veronese e nel delta del Po, così come in Lomellina è ormai diffusa. Quando il riso emette la terza foglia viene progressivamente sommerso fino alla fine del ciclo. Si risparmia l’irrigazione nei mesi di aprile e maggio, quando il valore dell’acqua è modesto. Per sommergere (con rimpinguamento delle falde) tutto il territorio risicolo servono in media 35-40 giorni, mentre a metà giugno tutte le risaie seminate in asciutta, ed i campi di mais, iniziano a richiedere l’intervento irriguo, talvolta in quantità superiore alle portate disponibili. Allora l’acqua diventa preziosa, non essendo in grado di soddisfare tutte le superfici in tempi brevi.
Con questa tecnica non si raggiunge una maggiore efficienza idrica perché ci si limita a ritardare di un mese la sommersione, la conseguente percolazione e l'innalzamento della falda. Anzi si genera un problema aggiuntivo spostando il picco di richiesta idrica più avanti nella stagione, quando l'acqua viene intercettata anche per le esigenze di altre colture, mais innanzi tutto.

    • Sommersione a turni alternati
Nel 2005 presso l’Istituto di Idraulica Agraria dell’Università degli Studi di Torino venne saggiata la tecnica di sommersione a turni alternati, confrontando due camere contigue di pari ampiezza. Una irrigata per sommersione continua, come controllo, e l’altra in sommersione alternata ogni 8÷10 giorni per tutta la stagione irrigua. Venne osservato un risparmio di immissione del 60%, con una riduzione della produzione di risone (riso vestito grezzo) dell’8%. Ma non si produsse nessuna colatura, e si osservò una riduzione significativa della percolazione in falda. È la tecnica ideale per gestire al meglio la risorsa idrica che è abbondante in aprile e maggio e scarseggia nei mesi estivi, quando anche altre colture la richiedono.

    • Subirrigazione, risparmio idrico e ciclo del riso
Qualche tempo fa fu impostata una breve sperimentazione condotta in Lombardia al fine di verificare gli effetti della subirrigazione freatica attraverso dreni forati su tre camere di risaia, dislocate in tre diverse località. Ogni camera fu divisa in due parti, una con pacciamatura  biodegradabile per il controllo delle malerbe, l’altra invece normalmente diserbata. In entrambi i casi, senza sommersione, il controllo delle infestanti fu insufficiente e nel secondo anno la nascita delle infestanti risultò esaltata. Il risparmio idrico invece fu notevole. Venne somministrata acqua poco più del necessario per compensare l’evapotraspirazione (5.000 m3/ha). Nessuna colatura, nessuna infiltrazione in falda. A livello comprensoriale, se la tecnica venisse applicata su grande scala, sarebbe necessaria una completa revisione della rete irrigua, e verrebbe a mancare l’impinguamento delle falde. L’analisi dei costi ha posto in evidenza che, per coprire le spese richieste, il prezzo del risone dovrebbe quasi raddoppiare e con gli attuali prezzi dell’energia, il raddoppio non basterebbe.

    • Irrigazione a goccia
È un approccio ancora sperimentale e per tale motivo non viene ancora offerto sul mercato. La ricerca pubblica sta lavorando per mettere a punto la tecnica agronomica più rispondente a individuare le varietà in grado di non avere cali produttivi con l'apporto di quantità di acqua limitate ma costanti nel tempo, per mezzo di ali gocciolanti. L'obiettivo principale è quello di evitare la sommersione e quindi ridurre l'utilizzo della risorsa idrica.

    • Irrigazione per aspersione
 L'irrigazione per aspersione, sperimentata in Sardegna sul riso, fornisce acqua in base allo stadio fenologico della pianta e all'andamento meteo-climatico senza mai saturare il terreno. Numerose ricerche condotte dagli agronomi (prof. A. Spanu)  dell'Università degli Studi di Sassari, hanno dimostrato che il consumo idrico si può ridurre quasi del 60%, mentre a livello di produzione non si sono registrate flessioni. Bisogna tuttavia prestare la massima attenzione affinché il delicato equilibrio tra acqua presente nel terreno e acqua apportata con l'aspersione non si alteri. Non tutte le varietà di riso sono adatte a rispondere positivamente al cambio di metodo irriguo. Affinché il risultato di questo metodo migliori è indispensabile modificare l’apparato radicale del riso, adattandolo a vivere in un terreno non sommerso, quindi con caratteristiche fisico-chimiche differenti.
L'aspersione modifica anche la chimica della risaia. Il metodo della sommersione produce infatti metano (gas climalterante) mentre l'aspersione al contrario promuove lo sviluppo di microrganismi aerobici. Chi coltiva riso sa che una delle variabili da tenere sotto controllo è il bioaccumulo di arsenico e cadmio nella cariosside, che per questioni chimico-biologiche può risultare elevato. Ebbene, secondo gli studi condotti a Sassari, nel caso dell'aspersione, la pianta di riso accumula molto meno arsenico rispetto a quella cresciuta in sommersione (pubblicazione su "Enviromental Science & Tecnology", Am. Chemical Soc.). La risaia sommersa tuttavia contrasta il bioaccumulo di cadmio, che invece può essere presente in percentuali anche elevate se i cicli di aspersione non vengono correttamente effettuati.
Lo studio ha accertato che l'efficienza media dell'uso dell'acqua è risultato del 19-20%, indicando che i risicoltori consumavano acqua in modo inefficiente. In media, si potrebbe ridurre il consumo di circa l'80%, mantenendo costante il livello di produzione e gli altri input.


Altre considerazioni finali

Il riso a scala globale consuma tre quarti di tutta l’acqua utilizzata in agricoltura, ed è responsabile del 10% delle emissioni di metano e anidride carbonica in atmosfera dovute all’azione antropica. Considerando le proiezioni di crescita della popolazione mondiale e la diminuzione dell’acqua dolce in conseguenza dei cambiamenti climatici, la possibilità di produrre riso senza sommersione rappresenta una delle sfide principali dell’agricoltura del domani. Oltre a un risparmio idrico del 45-50% rispetto alla sommersione tradizionale, la tecnica della goccia permette infatti di risparmiare fino al 30% dei concimi normalmente utilizzati, con minore inquinamento delle falde sottostanti, riduzione delle emissioni di gas serra e possibili incrementi delle rese del 20-40%.

La risicoltura veronese
Il successo del riso nella bassa veronese è dato da un insieme di fattori che favoriscono lo sviluppo della coltura: tipo di terreno, qualità e disponibilità dell’acqua, clima e ambiente.
L’ acqua utilizzata per la risicoltura deriva dalle risorgive che nascono ai margini della città di Verona, quindi si tratta di un acqua priva di inquinanti che conferisce la garanzia di qualità e valorizza il riso varietà “Vialone nano” tipico di queste zone. Il 1° luglio 1996 la Comunità europea ha riconosciuto questa varietà ad indicazione geografica protetta  con il nome di “Nano Vialone Veronese”.
I fiumi (Tartaro e Tione) della pianura veronese originati dalle risorgive presentano portate con variazioni stagionali dipendenti dall’andamento della falda acquifera. Le portate medie misurate sui tratti terminali dei fiumi Tartaro e Tione  oscillano intorno a 5-6 m3/sec. Nei fiumi ora descritti confluiscono 32 fosse principali che raccolgono le acque di oltre 170 corsi d’acqua secondari con sviluppo complessivo superiore ai 500 Km. L’intera zona di bonifica ha come recapito ultimo il Canal Bianco. Anche sotto il profilo qualitativo le acque provenienti dai fontanili presentano buone caratteristiche sia per quanto concerne le caratteristiche chimiche, sia fisiche. Infatti, non presentano sostanze inquinanti in concentrazioni tali da compromettere la possibilità di una loro utilizzazione irrigua; mantengono, inoltre, una temperatura costante compresa tra 10-11°C, temperatura minima limite per la germinazione del riso sotto la quale non germina.
L'acqua di risorgiva esce a temperatura più costante nell'arco dell'anno di quella derivata dai fiumi. È più calda d'inverno e più fresca in estate. Non ha quasi mai grandi sbalzi di portata e intorbidamenti. Per questo è un habitat ideale per numerose piante acquatiche, alcune anche rare, che spesso conferiscono alla roggia di risorgiva il caratteristico ambiente verde lussureggiante. Questo è un ambiente ideale per la riproduzione di quasi tutti i pesci che risalgono spesso per chilometri le risorgive. Lucci, persici reali, carpe, tinche, ma spesso anche cavedani e barbi cercano questi ambienti tranquilli perché garantiscono un migliore successo riproduttivo. Nella risorgiva le uova non andranno disperse con la piena stagionale e le piogge di maggio e giugno.
Le risorgive nel corso del tempo sono divenute un elemento caratterizzante del territorio e del paesaggio ed una presenza costante che la collettività ha imparato a gestire e utilizzare.

La risicoltura polesana
La coltivazione del riso nel Polesine e nel Ferrarese risale alla fine del XV secolo, ma è dalla metà del'700 che diventa dominante nel Delta per espandersi ulteriormente nell‘800, producendo profondi cambiamenti nel paesaggio. Declina nel ‘900 a favore del mais e della barbabietola da zucchero, ma da alcuni decenni ha registrato un nuovo rilancio.
In Polesine («terra circondata dalle acque») la particolarità del territorio è data dalla fitta rete di canali d’irrigazione e di collegamento con i fiumi Po e Adige e dal livello di campagna spesso più basso del mare Adriatico. In questa situazione è noto che quando il Po si dice “va in magra”, cioè riduce la sua portata oltre dei limiti sopportabili, il cuneo salino risale impedendo l’emungimento d’acqua dolce. L’acqua marina provoca una serie di alterazioni, dalla deflocculazione delle argille all’alterazione della capacità di scambio, due fenomeni che alterano i terreni in modo radicale e, in parte, irreversibile.

Effetti ecosistemici
La risaia, oltre che un campo coltivato, è un complesso ecosistema dove convivono molti viventi tra cui vegetali, pesci, uccelli, insetti e piccoli animali acquatici, che grazie anche a loro si mantiene in equilibrio. Anche un modesto inquinamento, quindi, può compromettere i rapporti generati tra i diversi comparti che lo compongono, inoltre mette a repentaglio la resa della coltura e la sopravvivenza della soprattutto della fauna presente.
L’ecosistema risaia è una nicchia ambientale che va preservata dagli eccessi e dalle contaminazioni che possono arrivare fino alle falde acquifere. E’ indispensabile mantenere le risorse acqua, terreno, ambiente e viventi più incontaminate possibili, utilizzando con razionalità i prodotti chimici e usando le buone pratiche agricole che esercitano solo un limitato impatto.


Siti web per approfondimenti:
www.enterisi.it;
www.stradadelriso.it;      
www.risoitaliano.org;