La certificazione tutela produttori e consumatori

Intervista all’accademico Giuseppe Liberatore, Direttore generale di Valoritalia, società autorizzata dal Mipaaf per la certificazione volontaria dei prodotti agroalimentari.

di Giulia Bartalozzi
  • 25 May 2022

Dottor Liberatore, ci può raccontare innanzitutto brevemente come è nata Valoritalia?
Valoritalia è stata costituita nel 2009 su iniziativa di Federdoc, la federazione nazionale dei consorzi di tutela vitivinicoli, e di CSQA uno dei più importanti organismi di certificazione in ambito agroalimentare in Italia, attiva prevalentemente in settori diversi dal vino. Il know how dei consorzi, insieme all’expertise di CSQA ci hanno permesso di diventare in pochi anni la società di certificazione leader nel settore enologico. Oggi certifichiamo i vini di 216 denominazioni di origine italiane che nel loro insieme danno vita a una produzione annua a 1,7 miliardi di bottiglie, pari a circa il 60% di tutta la produzione italiana dei vini di qualità e con un fatturato di 9,4 miliardi di euro. Siamo certi che il modello di certificazione italiano, soprattutto nell’ambito vitivinicolo, sia quello che garantisce meglio il consumatore e le aziende. La certezza di rappresentare un esempio per gli altri Paesi ci sta facendo riflettere da tempo su un possibile salto nel panorama internazionale. Per perseguire questa finalità, contiamo sul supporto di , DNV AL, uno degli organismi di controllo più importanti al mondo, con sedi in tutti i continenti e quartier generale in Norvegia, che da due anni è entrato nella nostra compagine societaria.
Il nostro percorso di crescita è solo all’inizio!

Con quali tecnologie e strumenti si realizza la certificazione di un prodotto e che cosa significa che un prodotto è certificato? Si tratta di qualità o anche di altri parametri come la territorialità e la sostenibilità nella filiera?
Se ci riferiamo alla certificazione dei vini a DO, il compito di Valoritalia è accertarsi che i vini appartenenti a queste denominazioni rispettino i requisiti previsti dai disciplinari di produzione, cioè quelle regole qualitative, quantitative e produttive che gli stessi produttori si sono date. in termini generali il processo è semplice: si tratta di seguire il percorso che ogni vino compie dal momento in cui il grappolo nasce in vigna al momento in cui esce dalla cantina sotto forma di bottiglia. La tracciabilità di ogni partita di vino è il fulcro del nostro lavoro e questa viene assicurata registrando ogni singola movimentazione di prodotto. A questa attività di registrazione si devono aggiungere le ispezioni in campo ed in cantina, le analisi chimiche e l’organizzazione di commissioni di degustazione che valutano l’adeguatezza qualitativa dei vini, ed infine la concessione dei Contrassegni di Stato.
Tuttavia si renderà immediatamente conto della complessità di questo processo quando dalla singola bottiglia si passa alla scala di centinaia di milioni di bottiglie; quando dalla singola impresa si passa alle centinaia, e in alcuni casi migliaia, di imprese per denominazione; quando il controllo deve essere esteso a migliaia di soggetti differenti che operano su territori molto diversi tra loro e a centinaia di denominazioni con impianti di regole molto differenti.
Bastano queste semplici considerazioni per rendersi conto che per certificare questi prodotti c’è bisogno di un’organizzazione e di competenze di assoluto livello e di strumenti tecnologici molto performanti.
Per gestire tutto questo abbiamo scelto di avvalerci di collaboratori di livello elevato (dei nostri oltre 230 dipendenti la maggioranza è laureata) e di un software informatico di nostra proprietà, estremamente sofisticato, che ci permette di fornire tutte le garanzie di tracciabilità, bottiglia per bottiglia, alle aziende e al consumatore finale.
Questa attenzione al dettaglio nel processo di tracciamento del prodotto e la capacità di dare garanzie e sicurezza sono l’asso nella manica che ci permette oggi di essere un organismo affidabile anche in altri ambiti di certificazione, divenuti importantissimi negli ultimi anni. Verificare la sostenibilità del processo di produzione del vino o di altri prodotti, certificare il rispetto delle regole nella produzione e nel confezionamento, ad esempio, di prodotti biologici e sqnpi (certificazione di produzione integrata) è un’attività per cui servono gli stessi requisiti richiesti per certificare un vino a denominazione: rigore, competenza e affidabilità.
Nell’ambito del biologico siamo già presenti su tutto il territorio nazionale e certifichiamo circa 2500 aziende, mentre per la certificazione della produzione integrata – SQNPI siamo leader nel settore vitivinicolo con oltre 4200 aziende. Si tratta di tipologie di certificazioni già rodate, con una certa storia alle spalle.
Per la sostenibilità è tutto più in divenire: sono già stati elaborati dei sistemi di controllo, che noi del settore chiamiamo Standard, che servono proprio a questi fini. In Italia è già disponibile uno Standard chiamato Equalitas, predisposto a misura del settore vitivinicolo che serve a valutare non solo l’impatto ambientale di un vino – impatto misurato dall’impronta carbonica CFP e dall’impronta idrica WFP - ma anche la sostenibilità economica dell’azienda, oltre il rispetto di valori sociali e etici.  La Sostenibilità è un concetto complesso, che può essere misurata solo con strumenti altrettanto complessi.

La certificazione è senza dubbio un valore aggiunto sia per i produttori che per i consumatori. Secondo lei è oggi percepita correttamente da entrambe le parti in causa? Come influenza l’export? Ci sono enti analoghi a Valoritalia anche all’estero?
Noi di Valoritalia ci siamo posti le stesse domande e, per provare a capire meglio, abbiamo condiviso con Nomisma, uno dei più autorevoli istituti di statistica in Italia, un progetto pluriennale finalizzato a capire il livello di conoscenza e di fiducia da parte del mercato e delle aziende rispetto al processo di certificazione.
Abbiamo già pubblicato i risultati delle indagini svolte sul mercato italiano e siamo in procinto di rendere noti i risultati di una prima ricerca focalizzata sui mercati esteri di riferimento per il vino italiano. Le indagini hanno messo in luce una forte fiducia degli operatori nel processo di certificazione e un'attenzione rilevante del consumatore finale che ha mostrato di conoscere più tipologie di certificazione di quanto ci si sarebbe aspettati.
Un po' di numeri possono aiutare a capire meglio quanto appena enunciato.
Il 61% dei consumatori italiani ha dichiarato di prestare particolare attenzione all’acquisto di prodotti alimentari sostenibili, mentre ben il 67% si è detto attento al marchio biologico.
Nel vino, il maggior livello di conoscenza è ascrivibile alle denominazioni di origine: 8 consumatori su 10 riconoscono i marchi DOC e DOCG, identificati come sinonimo di qualità e con 9 consumatori su 10 che si dichiarano disponibili a spendere di più per questa tipologia di vini.
Emerge al contempo un desiderio di conoscere meglio i vini certificati, in particolare quelli Biologici e Sostenibili, a cui i consumatori riconoscono, in primis, maggiore salubrità e minor impatto ambientale. Il 75% degli intervistati si è infatti detto interessato a comprenderne meglio gli elementi distintivi collegati a queste due tipologie di vini.
Tutto fa pensare che la certificazione del vino e, in generale, dei prodotti dell’agroalimentare, sia percepita come un effettivo valore aggiunto per i consumatori che diventano sempre più esigenti e informati. Abbiamo motivo di pensare che questa tendenza non riguardi solo l’Italia e che un vino certificato abbia più chances di essere venduto anche all’estero. Per quanto riguarda poi i vini con certificazioni di sostenibilità, segnalo che in Nord Europa, dove il vino è acquistato ancora dai Monopoli di stato, sono stati lanciati di recente dei tender per partite di vino certificate Equalitas, lo standard di sostenibilità vitivinicolo più evoluto tra quelli presenti in Italia. 

Il settore agroalimentare ha tenuto abbastanza bene durante la recente pandemia. Come vede adesso la situazione a seguito della guerra tra Russia e Ucraina? 
Le aziende vitivinicole hanno retto il colpo della pandemia e, pur con varie differenze tra denominazione a denominazione, sono stati rilevati anche incrementi nella richiesta dei mercati per alcune tipologie di vino. Più in generale il settore agroalimentare ha subito meno la crisi rispetto ad altri comparti e, in certi casi, penso al mercato del bio, si è rilevata una crescita delle vendite dovuta al diffondersi di un atteggiamento più attento rispetto alla salubrità dei cibi.
Certamente un problema importante si è creato con l’aumento dei costi delle materie prime che è un elemento potenzialmente molto pericoloso per il conseguente aumento dei prezzi.
Per quanto riguarda la crisi tra Russia e Ucraina, al momento non rileviamo particolari conseguenze dirette: i Paesi coinvolti direttamente non rivestono una particolare importanza per il mercato del vino.
Sono però preoccupato, come tutti, per le conseguenze di una guerra che sembra non essere destinata a terminare presto.
Il comparto alimentare ne subirà certamente un contraccolpo e questa volta anche il mercato del vino potrebbe essere penalizzato da una crisi su larga scala.
Mi auguro che ciò non avvenga.