Latte e derivati non sono più di moda?

di Mauro Antongiovanni
  • 12 May 2021

È triste parlare di “moda” in riferimento ad alimenti nobili quali il latte dei ruminanti ed i prodotti lavorati che ne derivano, frutto di culture millenarie, radicate nelle tradizioni un po’ di tutti i popoli della terra. Ma, tant’è, purtroppo.
Nei Paesi più ricchi stiamo assistendo ad un continuo declino economico dell’industria lattiero-casearia, tanto che molti produttori, anche grandi, stanno rischiando la bancarotta. Negli Stati Uniti, nel corso del 2020, qualcosa come 67.000 aziende zootecniche a conduzione familiare hanno chiuso l’attività. Tutto ciò perché nell’opinione pubblica ha fatto e sta facendo sempre più breccia la convinzione che “vegetale” è bello, mentre tutto ciò che ha a che fare con gli allevamenti animali è colpevole di tutte le nefandezze del mondo, a cominciare dal riscaldamento globale, per finire con le pandemie.
Sugli scaffali dei supermercati possiamo ormai trovare molti prodotti etichettati con la dicitura “latte”, di soia, di mandorle, di anacardi, di avena, di nocciole, insieme ad altri prodotti lavorati come yogurt, formaggi, creme, burri vegani. Fra gli altri, da segnalare, lo yogurt di soia fermentata al gusto di limone “Sojade So Soja” in Belgio, il cappuccino con latte di mandorle da consumare con ghiaccio (!) in Australia, la bibita “Alpro Barista Oat Drink” a base di latte d’avena in Bulgaria, il gelato di ceci “Sweetpea” negli Stati Uniti, il burro vegano garantito “biologico” in Canada, il latte di avena della ditta Yeo dsi Singapore, ed altre amenità.
Sul finire dell’anno scorso, il Parlamento Europeo ha votato l’Emendamento 171, meglio conosciuto come “Dairy Ban”, che vieta l’uso di etichette ingannevoli di prodotti alternativi che imitano le etichette di latte e derivati da latte di ruminanti. Negli Stati Uniti la FDA sta spingendo il governo per avere una legge che permetta l’uso della parola “latte” esclusivamente sulle etichette dei prodotti di provenienza animale. Gli oppositori, cui restrizioni del genere danno evidentemente molto fastidio, minimizzano osservando che i consumatori non sono per niente confusi da etichette che, oltre al termine “latte”, includano anche le diciture “vegano”, “a base vegetale” o “dairy free”.
Dal momento che il latte è, senza dubbio, un alimento naturale completo ed inimitabile per la qualità della sua frazione proteica ad elevato valore biologico, per gli acidi grassi a corta catena da C4 (butirrico) a C10, indispensabili per la salute dell’intestino, per il contenuto di vitamine liposolubili fra cui la D3, per il calcio ed altri oligoelementi, è opportuno promuovere delle campagne di educazione alimentare per controbilanciare le campagne pubblicitarie dell’industria dei prodotti alternativi di origine vegetale.
Vero è che molti consumatori di prodotti alternativi preferiscono i surrogati o perché allergici al lattosio o per motivi etici legati allo sfruttamento degli animali, con l’aggravante della supposta non sostenibilità delle attività zootecniche. Si fa riferimento anche alla produzione di gas serra, in particolare di metano, legati alla conduzione degli allevamenti dei ruminanti. Ricordiamo però (fonte FAO) che la zootecnia intensiva non è la sola attività agricola produttrice di metano, lo è anche la risicoltura, che contribuisce per l’11%, e gli allevamenti estensivi dei paesi in via di sviluppo, che contribuiscono per il 70% circa. Che facciamo? Lasciamo le popolazioni del sud-est asiatico a morire di fame senza riso e impediamo agli allevatori africani di sopravvivere?
Se tutti siamo d’accordo che “naturale è bello”, non possiamo rinunciare alle nostre mozzarelle, parmigiani, pecorini e alle altre centinaia di formaggi diversi, ai nostri gelati, ai nostri yogurt, a favore di prodotti vegetali certamente non “più naturali”, rinunciando anche ad una cospicua fetta nella nostra civiltà millenaria. Ciò che, invece, è doveroso fare è uno sforzo globale per migliorare la conduzione degli allevamenti, dalla alimentazione alla gestione dei pascoli, dalla scelta delle materie prime dei mangimi alla gestione dei rifiuti e all’uso intelligente dei trasporti e delle fonti rinnovabili di energia.