Fermare la scriteriata campagna anti-OGM e ricominciare dalla sperimentazione

I prodotti OGM finora licenziati sono assolutamente sicuri, non solo per i consumatori, ma anche per l’ambiente dove sono coltivati. La ricerca in questo settore offre grandi opportunità per migliorare l'agricoltura.

di Silverio Sansavini
  • 06 October 2010
Nelle ultime settimane si è acuita la posizione acritica italiana contro gli OGM, dopo la decisione dell’UE di lasciare liberi i paesi europei di introdurre o meno la coltivazione delle sementi GM. Veramente il nostro paese avrebbe anzitutto necessità di reintrodurre le ricerche sugli OGM, a vario titolo sospese ormai da dodici anni, senza che nel frattempo siano stati prodotti documenti scientifici che convalidino l’adozione indistinta del “principio di precauzione” prima (leggi il bando degli OGM) e delle “clausole di salvaguardia“ poi. Ufficialmente la nostra posizione governativa, nel contesto europeo, sostiene peraltro una posizione comune a quella di altri paesi “OGM-free”.
Ora assistiamo ad una nuova controversia fra le organizzazioni professionali in parte favorevoli (Confagricoltura e Futuragra) e in parte contrarie, “in primis” la Coldiretti e poi i movimenti ambientaliasti, i Verdi e numerose altre organizzazioni, comprese le associazioni dei consumatori, in maggioranza contrarie.
Cosa deve pensare la gente comune di fronte agli irragionevoli comportamenti di alti responsabili della politica italiana (vedi Governatore Zaia, ex Ministro delle Politiche Agricole, che ha approvato azioni squadristiche per distruggere un campo di mais GM) e dei male informati giornalisti che fanno loro eco nella stampa quotidiana?
Chi non si lascia fuorviare dalla disinformazione mediatica e dalle verità artefatte di manipolatori della conoscenza scientifica sa bene che i prodotti OGM finora licenziati sono assolutamente sicuri, non solo per i consumatori, ma anche per l’ambiente dove sono coltivati. Sono ben 134 milioni gli ha di colture nel mondo (mais, soia, colza, cotone) e sono tuttora in forte crescita (7% nell’ultimo anno), coltivati in 25 Paesi.
Ciò che più fa male, a noi studiosi che non abbiamo nulla da spartire con le odiate multinazionali, è che il nostro paese non ha finora potuto e non può sviluppare le sue specifiche,alte,potenzialità in campo biotecnologico, proprio a favore delle specialità (ortofrutticole, piante industriali ecc.) che sono parte del “made in Italy”.
Fa male, dicevo, constatare che l’Italia si è autoestraniata da queste innovazioni biotecnologiche, bloccando fra l’altro la possibilità di far sorgere una propria specifica industria biotech, che, come è successo in Cina e in India, avrebbe potuto crescere e porsi in concorrenza con le compagnie sementiere USA, dopo aver risolto i problemi e migliorato qualitativamente i prodotti. A partire da cotone, riso, altri cereali, specie orticole come melanzane (in India) ed altro. In Europa ad es. la BASF tedesca ha ottenuto l’autorizzazione dopo dieci anni di attesa, alla coltivazione della patata Amflora per uso industriale e altre patate GM sono già pronte per la resistenza alla peronospora e alla dorifora.
E l’Italia? sta a guardare, quando molti dei nostri prodotti della filiera agroalimentare di trasformazione, sono ottenuti facendo uso di farine, oli ed estratti OGM regolarmente importati. L’opinione pubblica è stata finora narcotizzata e sviata con asserzioni del tutto infondate, come ad esempio che le “colture OGM impedirebbero le coltivazioni  biologiche e quelle convenzionali (per il rischio dell’ipotetico e del tutto teorico flusso genico contaminante) oppure che ridurrebbero la biodiversità e rovinerebbero l’eccellenza dei prodotti del “made in Italy”. Nicchie, queste, che potrebbero “coesistere” con le colture, solo che ci fosse la volontà di applicare al meglio le regole della coesistenza. Ciò che sembra più biasimevole è l’immobilismo dell’Italia in questo campo. Non si può continuare in un aprioristico ostracismo. Bisogna ricominciare in fretta, aprendo le porte alla sperimentazione di campo e alle ricerche di base.
(Silverio Sansavini - Dipartimento Colture Arboree – Università di Bologna)