In futuro, dovremo un po’ tutti divenire più vegetariani?

di Alessandro Bozzini
  • 02 February 2011
L’incremento demografico mondiale (siamo ormai arrivati a 7 miliardi!), la continua diminuzione delle terre coltivate, l’incremento dell’urbanizzazione (ormai oltre la metà della popolazione  mondiale vive in aree urbane), gli attesi negativi cambiamenti climatici, l’aumento della domanda della quantità e qualità del cibo dovuta all’incremento del benessere nei grandi Paesi Asiatici (Cina, India, Indonesia ecc.) dell’America latina (Brasile, Argentina); il recente uso massivo di  mais e grano per produrre bioetanolo in USA; la troppo rapida liberalizzazione dei mercati dei prodotti alimentari, sono tutti fattori che certo porteranno ad un futuro incremento dei prezzi finali dei generi alimentari di base (come sempre a vantaggio del commercio, processo e distribuzione rispetto alla produzione), ad una rarefazione di molti alimenti ed a un futuro aumento dei costi dei prodotti animali.  Attualmente, specie nei Paesi ricchi, per produrre carne, latte ed uova, molti miliardi di animali domestici allevati in bio-fabbriche, utilizzano enormi quantità di carboidrati e proteine da granaglie che potrebbero nutrire direttamente miliardi di umani, specie nei Paesi più poveri.
Infatti, quasi i 2/3 delle terre fertili del pianeta sono oggi  usate per coltivare cereali e leguminose per l’allevamento degli animali domestici (fonte: FAO e USA-AID). Anche in Europa il 77% dei cereali usati è destinato non al consumo umano diretto, ma a mangimi per animali. Negli USA, ben l'87%,  ma solo il 18%  nei Paesi più poveri del mondo. In sintesi, su scala mondiale, il 90% della soia e la metà dei cereali prodotti sono destinati a nutrire animali anziché esseri umani ( FAO, Food Balance Sheet, 2001). Inoltre, l'acqua richiesta per produrre cibo vegetale e foraggio varia dai 500 ai 2000 litri per chilo di raccolto prodotto. Il bestiame utilizza per bere solo l'1,3% dell'acqua usata in agricoltura; tuttavia, se si considera anche l'acqua richiesta per la coltivazione dei cereali e dei foraggi per l’uso animale, la quantità  d'acqua richiesta è molto più elevata: per 1 kg di manzo da allevamento intensivo servono 100.000 litri d'acqua (200.000 se l'allevamento è estensivo); per 1 kg di pollo, servono 3.500 litri, 2.000 per la soia, 1.910 per il riso, 1.400 per il mais, 900 per il grano, 500 per le patate. (Pimentel,1997) Occorre anche considerare che gli animali domestici, usati come “macchine” che convertono proteine vegetali in proteine animali (anche se cibi “nobili” e da molti, certamente preferiti), risultano inefficienti come trasformatori/produttori di cibo per l’uomo. Il rapporto di conversione delle proteine vegetali contenute nei mangimi animali, a cibo per l’uomo, varia da 1 a 30 ad 1 a 4, a seconda della specie allevata. Il numero di persone che possono essere nutrite per un anno, in 1 ettaro coltivato, varia da 22 (con patate) a 19 (con riso), ma ne nutre solo 1 con la carne di manzo e 2 con quella di agnello, prodotte. In molti allevamenti si usano quasi esclusivamente mangimi prodotti con granaglie di possibile uso alimentare diretto anche da parte dell’uomo: un assurdo, se consideriamo che centinaia di migliaia di persone, specie bambini, continuano ogni giorno, nel mondo,  a morire di fame, nell’indifferenza dei più.  
Inoltre non bisogna dimenticare che miliardi di questi mammiferi, con la fermentazione dei vegetali digeriti e con le deiezioni immettono nell’atmosfera grandi quantità di metano e di NO, che contribuiscono, in proporzione, molto più della CO2 all’incremento dell’effetto serra.
Solo l’allevamento brado di animali in prati-pascoli naturali, che utilizzino vegetali non eduli per l’uomo, risulta avere un bilancio meno negativo, ma tale produzione nei Paesi ricchi risulta oggi essere minimale rispetto a quella ottenuta nelle “bio-fabbriche”. Se per produrre granella per allevare questi animali, elimineremo ancora le foreste, specialmente tropicali, l’effetto sul clima, già vistoso a causa dei consumi sempre più crescenti dei carburanti fossili, non potrà che peggiorare.
E’ ovvio che tra i vari tipi di allevamento, la diminuzione più consistente dovrebbe interessare quelli per la produzione delle carni,  piuttosto che quelli per il latte o le uova. Ciò non solo per ragioni etiche, che pure hanno elevato valore e significato, ma soprattutto per stringenti ed ineludibili motivi sociali (la sicurezza alimentare) economici (costo dei cibi) e politici (pace e stabilità).
Oggi 800 milioni di Indiani, in fase di rapido sviluppo socio-economico, sono strettamente vegetariani: tutto ciò dimostra che potremmo un po’ tutti utilizzare di più e meglio le granaglie che oggi sono così largamente consumate per l’allevamento degli animali.
Certo, quanto prima dovremo sviluppare nuove tecnologie che permettano di produrre cibi proteici (latte e latticini dalla soia e da altre leguminose: lupini, piselli, fagioli ecc.), più raffinati e gustosi, nonché prodotti che permettano una più diffusa ed accettabile utilizzazione umana di mais, grani, orzo ed altri cereali, patate e molte specie orticole.  Così potremo anche ridurre i problemi di salute derivati da obesità, eccesso di zuccheri (diabete), da eccesso di prodotti animali contenenti colesterolo, grassi saturi, che favoriscono l’insorgenza di disturbi cardiocircolatori, tumori ecc., mentre molti prodotti vegetali contengono sostanze antiossidanti e nutraceutiche di elevato valore.
Crediamo che questi argomenti debbano essere affrontati, in modo da prevenire possibili effetti negativi e dirompenti sulla nostra agricoltura, sulla nostra nutrizione e sul benessere sociale ed economico generale. In prospettiva, pensiamo possa essere utile interessare specialmente i nostri zootecnici a queste problematiche, in modo da affrontare il tutto in modo intelligente, graduale e razionale, offrendo valide alternative ai produttori ed ai consumatori.  
Come sempre è meglio prevenire che curare. Se la popolazione umana continuerà ad aumentare con questo ritmo, oltre ad incrementare l’uso diretto dei prodotti vegetali, dovrà anche cercare di coltivare più diffusamente quanto può crescere nelle acque, per ottenere i prodotti alimentari derivati dalle enormi possibilità fornite dalla biologia marina. Ma lo sviluppo delle produzioni dell’acquacoltura è un altro capitolo fondamentale per il futuro dell’ umanità, finora largamente sottovalutato ed ancor oggi utilizzato principalmente da una caccia-pesca industriale troppo spesso avida ed imprevidente.

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