E’ (ancora) utile studiare i rapporti tra ozono e piante?

di Cristina Nali
  • 02 February 2011
A questa domanda si può rispondere in modo affermativo, considerando che l’ozono troposferico è al tempo stesso un inquinante dotato di notevole tossicità nei confronti delle biomolecole, ma anche un cosiddetto “gas serra”, così che esso deve essere considerato “un problema globale, tale da richiedere una soluzione globale”. Gli scenari futuri sono allarmanti in termini di danno economico dovuto alle perdite in resa delle colture, senza considerare gli effetti sugli aspetti qualitativi. Sono infinite, poi, le possibili interazioni tra presenza di ozono nell’aria ed attività biologiche: ad esempio, è dimostrato un ruolo dell’ossidante nella degradazione dei segnali chimici (idrocarburi) emessi dai fiori per attrarre gli impollinatori.
Quello imposto dall’ozono è un tipico stress ossidativo, ovvero una condizione patologica - molto comune negli organismi - causata dalla rottura dell’equilibrio fisiologico tra la produzione e l’eliminazione, da parte dei sistemi di difesa, di specie chimiche ossidanti. A seguito del danneggiamento dei cloroplasti, si verifica il collasso delle cellule del palizzata, secondo un tipico meccanismo di risposta ipersensibile, generato dall’accumulo di ROS e specialmente di H2O2 nel citoplasma. E’ dimostrato che le piante attivano il burst ossidativo non solo in risposta all’azione di questo contaminante, ma anche come generico meccanismo difensivo rispetto ad altri fattori, sia biotici che abiotici. Gli effetti dell’inquinante, infatti, si esplicano attraverso una cascata di eventi regolati dall’induzione di molecole-segnale che mediano la stimolazione di risposte, come la produzione di metaboliti secondari e l’attivazione di geni comunemente indotti durante l’interazione pianta-patogeno. Ed ecco che la risposta affermativa iniziale viene corroborata dalla possibilità di utilizzare l’ozono come modello per lo studio delle risposte allo stress ossidativo nelle piante, a cominciare dai processi di “morte cellulare programmata”. Ma non è tutto: taluni metaboliti secondari, la cui produzione è stimolata dalla presenza di ozono, costituiscono quegli antiossidanti naturali contenuti, e oggi tanto ricercati, negli alimenti. In medicina umana è stato addirittura proposto il concetto di “free radical men”, dal momento che l’invecchiamento ed oltre 100 malattie sono legate proprio allo stress ossidativo! E allora perché non cominciare a studiare la possibilità di usare l’esposizione (deliberata) ad ozono per arricchire nella pianta la concentrazione di composti fenolici bioattivi, a patto ovviamente di non influenzare negativamente la produzione quali- e quantitativa? Che si tratti di una nuova frontiera della nutraceutica?


(foto di Silvana Ruggeri)

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