IL PAESAGGIO. Strumentalizzato, politicizzato, umiliato.

di Francesco Gurrieri
  • 01 July 2015
Le riflessioni critiche sulla confusa accumulazione delle “istanze ambientalistiche” costituiscono la filigrana della Prolusione di Franco Scaramuzzi al 262° anno accademico della nostra Accademia. C'è fors'anche di più: un monito verso le “improvvide disattenzioni e un futuro sconvolgente”. C'è una spiegazione a questa preoccupata e civilissima attenzione per quel pensiero oppositivo al buon senso, teso a “demolire l'agricoltura”? C'è, eccome! E viene da lontano, se pur fattosi più arrogante nell'esercizio del potere politico e nella crescente, strumentale presa di distanza dalle competenze tecniche. Infatti, assistiamo ad una crescente aberrazione istituzionale che investe molti settori e non solo quello dell'agricoltura e del “paesaggio agrario”: da qualche tempo, ministri e politici più in generale, prendono decisioni direttamente (e “personalmente”), saltando la formalizzazione del “provvedimento” da parte del funzionario  dirigente preposto al problema (soprintendente, provveditore, ad esempio). Ciò è istituzionalmente e costituzionalmente scorretto e potenzialmente materia di impugnativa. Quando mai nella storia del nostro Paese un ministro, su materia tecnica e tecnico-amministrativa si permetteva di bypassare il funzionario delegato alla materia? E' rimasto indelebile l'esempio (anni '50) dello scontro fra il soprintendente Barbacci e il ministro Togni, ai tempi del sindaco La Pira, per il diniego alla realizzazione del piano di Sorgane Alta, per l'edilizia economica e popolare. La Pira, in assoluta buona fede, sosteneva che “anche i più poveri avevano diritto di avere la casa in collina”; Togni arrivò minaccioso da Roma, fu fatto un sopralluogo congiunto ma il soprintendente fu irremovibile: quella collina andava salvaguardata e così fu. Naturalmente codesta coerenza e “autonomia tecnica” costò il trasferimento di Barbacci da Firenze a Bologna, ma questa è altra storia. 
Ma avviciniamoci al perimetro culturale della vicenda toscana sulla “Variante Generale del PIT, con valenza di Piano Paesaggistico”, approvata nell'aprile 2015. Si ricorderà che tutto nasce dal contenuto del nuovo “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (D.L. n.42 / 2004), ove si introduce, non senza velleità, il concetto di pianificazione paesaggistica, rispolverando e tornando a rendere obbligatorio il “Piano Paesaggistico” presente nella “Legge per la protezione delle bellezze naturali”, la n. 1497 del 1939 (messa a punto dal ministro Bottai e da Gustavo Giovannoni); ciò, pur sapendo che non sarebbe stato  possibile alle soprintendenze -organi periferici del Mibac, poi Mibact – poter corrispondere, per carenza di organico specializzato e indisponibilità di adeguate attrezzature e programmi informatici; così che, anche  in ragione dei sopraggiunti e noti “fatti di Monticchiello” (che suscitarono proteste ed echi sulla stampa nazionale fino a rasentare la crisi della giunta regionale), con un provvedimento di legge ad hoc, la Regione assumerà l'onere della redazione non espletata dalle soprintendenze, che si limiteranno a “collaborare” . L'esplodere delle critiche ai contenuti assurdamente prescrittivi per l'agricoltura da parte dell'Assessorato all'Urbanistica (fra cui, fondamentali, quelle dei Georgofili) consigliarono di correggere parte di quelle normative, introducendo diverse invarianti, fra cui, davvero fumose quelle dei  “morfotipi relativi a urbanizzazione temporanee”. Lo stesso Assessorato nulla disse nemmeno della nuova pista del Vespucci (nel frattempo passata da 2000 a 2400 metri), falsamente definita “monodirezionale”, che finirà per inquinare il “Parco agricolo della Piana” (studio finanziato dallo stesso Assessorato) e, soprattutto, per far passare non pochi voli sul monumentale centro storico di Firenze. Per ora tutto tace. Le  particolari contingenze di equilibrio politico , evidentemente, consigliano il silenzio. Al momento ne è uscita umiliata l'intera cultura specialistica che, ostinatamente, non si è voluta ascoltare. Auguriamoci tuttavia che il buon senso torni a prevalere e che l'intera materia   torni ad essere studiata e riproposta con maggior approfondimento scientifico-tecnico, al di fuori e oltre l'attuale scenario politico. E ricordiamoci quanto sia opportuno cercare un nuovo e più maturo rapporto stato-regione, come aveva auspicato Giovanni Spadolini nel 1975  attivando il nuovo Ministero  per i Beni Culturali. A distanza di quattro decenni i tempi sembrerebbero davvero maturi per un più armonico rapporto tra pianificazione urbanistica e tutela paesaggistica e ambientale. Tenendo fermo e interpretando correttamente quanto indicato dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: “Ai fini del presente codice (per Paesaggio) si intende una parte omogenea del territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni [...] ; la tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili”: non è un indirizzo sufficiente per esprimere quella necessaria “civiltà  dell'agricoltura” che ha consolidato e garantito nei secoli il conformarsi del paesaggio?  


LANDSCAPE
Exploited, politicized, humiliated

Supporting and correctly interpreting the provisions of the Code of the Cultural and Landscape Heritage that says: “this code (as regards  Landscape) intends a homogeneous part of the territory whose characteristics derive from nature, human history or from their reciprocal interrelationships [...] ; the protection and enhancement of the landscape safeguard the values expressed as a perceptible identity”, we wonder: is this not a sufficient guideline to express that necessary “civilization of agriculture” that has strengthened and protected the adaptation of our landscape over the centuries?