Dalla “rivoluzione agricola” alla “rivoluzione verde”

di Zeffiro Ciuffoletti
  • 05 March 2014
Nel mercato globale c'è posto per tutti; per il cibo buono e a basso costo, come per il cibo di alta qualità, così come per il cibo etico, etnico e magari costoso, di nicchia. Così come per i prodotti a chilometro zero e i prodotti delle campagne del mondo che finiscono nelle mense delle città, dove ormai vive più del 50% della popolazione della terra. Chiunque può capire che gli orti non bastano a sfamare le città con milioni e milioni di consumatori. 
Con la “rivoluzione agricola” del ‘700 e poi con la “rivoluzione verde” del ‘900 si sono moltiplicate le risorse alimentari, superando i limiti e le difficoltà delle pratiche della caccia, della pesca e della raccolta dei frutti spontanei. In questo senso l’agricoltura, ancora oggi, rappresenta la base dell’alimentazione di un mondo sempre più popolato e proprio per questo è diventato così importante il problema ecologico del rapporto fra l’uomo e l’ambiente e l’utilizzo delle risorse naturali, fra cui primeggia la terra coltivabile e l’acqua. Grazie alla ricerca, alla tecnologia e all'ingegneria genetica, si è in grado di sfamare un mondo sovrappopolato. Il problema dei sostenitori (ideologici) del piccolo, giusto, naturale e bello, è che, pur facendo un buon marketing, hanno uno sguardo corto e spesso rivolto all'indietro. Non si rendono conto che solo grazie all'evoluzione tecnologica e all'innovazione si è potuto affrontare la sfida demografica ed evitare la carestia: la fames, come si diceva nel Medioevo. Solo grazie a questo, la produzione agricola mondiale ha potuto fronteggiare un così rapido e gigantesco aumento della popolazione. 
I problemi del presente sono di scala così grande che non si possono risolvere tornando all'indietro, perché l'indietro era un inferno incomparabilmente più grave e pericoloso dei tanti mali della modernità. La distribuzione ineguale del cibo è un problema serio, ma se non ci sarà crescita, non ci sarà migliore distribuzione. Oggi il mondo è sovraccarico di circa 7 miliardi di abitanti, gli addetti all’agricoltura sono ovunque calati, e più della metà della popolazione del mondo vive nelle città del mondo. Eppure il problema delle carestie si è ridotto a poche isole, infestate da guerre o disastri ambientali. La rivoluzione verde ha prodotto, insieme a grandi vantaggi, effetti collaterali negativi, ambientali e anche sociali che andranno tenuti presenti, ma sei miliardi di uomini su sette sono fuori dalla fame. Sei volte di più di appena 50 anni fa. Un risultato possibile e migliorabile anche negli effetti collaterali negativi, solo perché l’agricoltura è stata rivoluzionata dalla tecnologia, dalla chimica, dalla biologia, dalla estensione dei mercati, dai trasporti, dalle macchine, dai fertilizzanti, dagli antiparassitari, dalla selezione delle sementi e degli animali da allevamento, dai sistemi di irrigazione, dalle nuove tecniche produttive e di conservazione. La catena distributiva è mutata per via dei trasporti, della conservazione, della logistica, della distribuzione. 
Nei grandi mercati di oggi c’è posto per ogni tipo di agricoltura e per la coesistenza di cibi diversi, diversamente prodotti, biologico, biodinamico, ma tutti igienicamente accettabili e controllabili. La teoria fisiocratica in base alla quale i contadini costituivano l’unica classe produttiva è stata superata da una realtà che ha reso interattivo il rapporto fra industria e agricoltura.
La prima rivoluzione verde ha trasferito energia alle campagne sotto forma di macchine e di concimi. La seconda, che stiamo vivendo, in linea con la rivoluzione tecnologica e informatica che pervade ogni attività umana, trasferisce informazioni e innovazioni a partire dalle biotecnologie sino all’utilizzo sempre più efficace e controllato dell’energia impiegata, dell’acqua e del suolo. 
Il futuro non si può costruire senza una lunga visione del passato, ma il futuro è già nel presente. Solo per la strada dello sviluppo della tecnologia e della scienza, si potrà trovare un modello di produzione e di sviluppo che potrà sfamare più persone con meno controindicazioni per l'ambiente e per la salute umana. E forse anche per la giustizia. Questa nuova sensibilità, questa nuova cultura, può convivere nella ricerca di un nuovo modello che potrebbe proporsi come  una nuova rivoluzione verde. Ciò potrà accadere solo guardando al futuro con uno sguardo dotato di profondità temporale e ampiezza spaziale tenendo presente, però, che le grandi esposizioni universali in tutta la loro storia , fin da quella di Londra di metà Ottocento, furono inclusive di ogni innovazione scientifica e tecnologica così come delle diverse culture. Per questo furono sempre lo specchio di un mondo sempre più globalizzato.
È con questa visione che l’Italia si può presentare all'EXPO di Milano senza cedere alle mode o alle tendenze che sembrano dettate più dal dogmatismo ideologico che da considerazioni ponderate e larghe visioni.