La selvicoltura? Come la vogliamo

di Lapo Casini
  • 10 April 2013
Industriale, naturalistica o micologica? Sistemica, applicata o moderna? La selvicoltura riceve ordinariamente diverse qualificazioni tutte utili a evidenziare i molteplici scopi e criteri con cui si imposta la gestione dei boschi; del resto anche l‘agricoltura vanta numerose specificazioni (convenzionale, biologica ecc).
Intensificando questo meccanismo di aggettivazione che – in fondo – risponde a sempre nuove  esigenze di aggiornamento e progettazione, si può declinare in modo più ampio e più contestualizzato l’attività selvicolturale, senza per questo tradirne la natura tecnica, concreta, produttiva, cominciando dal dire, se si vuole che sia utile, quale selvicoltura non interessa per il futuro, che come noto comincia oggi. Di sicuro non dovrà essere “ignorante”: quindi non interessa la selvicoltura teorica, perché ignora la realtà; non interessa la selvicoltura “nera”, perché ignora le regole del lavoro, e nemmeno interessa la selvicoltura solo normativa, perché ignora le forze vive della natura, della proprietà, dell’imprenditoria e della società. Si tratta di tre selvicolture molto pericolose, ciascuna sganciata dalle potenzialità complessive contenute nei nostri 10 milioni di ettari boschivi. 
Passando alla parte construens, perché una volta tanto non inquadrare al pari di altre cose proprio la selvicoltura – come gestione e come tecnica - in una logica di lungo periodo e di progetto comune a servizio della collettività attuale e futura? È un dato di fatto che senza questo terzo di territorio (remoto, ma non dappertutto) coperto da boschi saremmo un Paese disastrato quanto a biodiversità, ambiente, clima, idrologia, fertilità e produzione. 
Perché non pensare quindi ad una selvicoltura “civile”? In fondo di “civile” in Italia già abbiamo la società, il servizio e l’ingegneria, e non si tratta di cattive compagnie.
In altri termini, una selvicoltura un po’ meno arretrata, folcloristica e circoscritta, e settorialmente e professionalmente più integrata nel cosiddetto sistema-Paese, un po’ come in Austria, Francia e Finlandia. 
Si tratterebbe di mettere meglio in rete con realtà più dinamiche ed aperte i tanti fermenti già in essere, senza pensare di dirigerli e nemmeno coordinarli, ma più semplicemente coltivando il confronto e lo scambio intersettoriale e quindi la modernizzazione e la progressione, diffidando dei mantra predicati nel passato, che da dieci o cento anni non hanno funzionato abbastanza (l’associazionismo, i consorzi; ovviamente … parliamone!) e facendo leva sulle occasioni prossime perché siano passi in avanti e non occasioni perse, che come tali verranno riproposte invariate dopo qualche tempo.  
A livello nazionale, presso l’UNI Ente Nazionale Italiano di Unificazione, è in corso la definizione della figura professionale dell’operatore boschivo, all’interno della più vasta opera di standardizzazione delle professioni non regolamentate: quale migliore occasione per un sano confronto intercategoriale?
A livello regionale, molte Regioni data la competenza di legge promuovono iniziative lodevoli, come quella che si è svolta il 28 marzo u.s. in Toscana – regione di indubbia rilevanza forestale – sugli indirizzi operativi per la sicurezza dei lavori di utilizzazione: iniziative che per aumentare di efficacia richiedono un maggior scambio non solo coi “destinatari” ma anche con fasce di profani e non addetti ai lavori.
Forse coltivando con continuità questo metodo si otterranno i frutti sperati di qualificazione, valorizzazione e modernizzazione del settore.