Il dilemma shakespeariano sulla scelta transgenica

di Amedeo Alpi
  • 12 September 2012
Nonostante l'argomento sia stato ampiamente dibattuto, riteniamo opportuno qualche sottolineatura perché anche alcune riviste di grande rilevanza scientifica continuano ad ospitare articoli critici sugli organismi transgenici, e quindi sulle piante transgeniche, che hanno avuto una enorme diffusione nel mondo (160 milioni di ha nel 2011).
L'argomento maggiore a favore degli organismi transgenici si basa sulla constatazione che le mutazioni accadono normalmente e spontaneamente in natura. L'uomo usando mutageni chimici o fisici può ulteriormente favorire questi eventi. Le biotecnologie ci possono mettere nella condizione di alterare un singolo paio di basi nella complessa struttura del DNA (indicato in letteratura scientifica come polimorfismo di un singolo nucleotide o SNPs) degli organismi.
Recentemente Emily Waltz, giornalista scientifico "freelance", ha espresso sulla rivista "Nature" le sue preoccupazioni proprio a proposito  degli SNPs che si originerebbero a seguito dell'uso delle moderne biotecnologie, anche di quelle non necessariamente transgeniche.
Gli argomenti di Waltz sono sembrati poco convincenti a tre ricercatori americani, Parrott W.A., Jez J.M. e Hannah L.C. appartenenti a tre diverse Università degli States. Essi hanno ricordato, oltre a molte altre cose, che, tenendo conto del normale tasso di mutazioni spontanee, nelle circa 260.000 piante contenute in un ettaro di soia coltivata, avvengono naturalmente circa 1,8 milioni di nuove mutazioni SNPs.
Con questi numeri ci sembra che le preoccupazioni circa la creazione di SNPs nelle piante transgeniche, oppure ottenute con altre biotecnologie, siano eccessive!
D'altra parte le tecniche si stanno sempre più affinando, come in questa sede di “Georgofili INFO” abbiamo molte volte sottolineato, e la capacità di intervento dei genetisti può avvalersi di metodologie sempre più precise, limitandosi, ad esempio ad un solo gene di interesse anziché all'intero genoma come accadeva all'inizio della tecnologia del DNA ricombinante.  
Gli autori citati concludono l'articolo dicendo che, nonostante l'intenso lavoro di miglioramento genetico, soprattutto condotto negli ultimi cento anni, ricorrendo anche all'ausilio di radiazioni o di mutanti chimici, non si sia mai constatata la presenza di una tossina o di un allergene o comunque di una qualche sostanza che non fosse nota in precedenza. Per cui, concludono, le biotecnologie in questione non hanno creato disturbo alcuno agli uomini, agli animali ed all'ambiente.
Evidentemente argomentazioni simili a quelle sopra riportate devono essere state alla base della decisione recente della Corte di Giustizia Europea, che ha ingiunto all'Italia di recedere dal proposito di darsi proprie regole per l'approvazione della coltivazione degli organismi transgenici. L'esatta affermazione si riferisce a quando uno stato membro proibisce "in modo generico la coltivazione, sul suo territorio, di uno specifico OGM in attesa di un regolamento che  preveda misure di coesistenza".
A questo punto il divieto a coltivare OGM dovrebbe cadere.
Vorrei poterci credere, ma l'amletico dilemma "to be or not to be transgenic" continuerà a tormentarci.