Radici storiche del Risorgimento

di Giovanni Cherubini
  • 01 December 2010
Alle radici del Risorgimento cronologicamente a noi più vicine, cioè quelle che andarono delineandosi nel passaggio tra l’età illuministica, il periodo francese e napoleonico e l’emergere del Romanticismo, si affiancano radici più lontane del tempo. Prima di tutto, un favorevole assetto geografico, evidente già al tempo di Dante Alighieri: l’Italia, con intorno le grandi isole del Tirreno e i gruppi di isole minori, veniva facilmente percepita come un’unità geografica aperta sul mare e ben segnata dai confini naturali che la saldavano all’Europa attraverso la barriera delle Alpi.
Si impose presto, come elemento di riferimento, anche il ricordo di Roma, che la Chiesa cattolica provvide a rianimare in molti modi diversi. Uno dei più importanti fu il carattere assunto dalle vecchie città, delle quali molte scomparvero oppure decaddero, altre nacquero invece nel corso del Medioevo ma furono considerate come tali soltanto quando erano sede di un vescovo o a capo di una diocesi, quindi di un territorio. Si deve aggiungere che, su quelle città, prima i vescovi esercitarono anche poteri politici.
In Italia fu combattuta dalle città del centro-nord una secolare battaglia contro il Sacro Romano Impero, si creò un insieme di città stato (Milano, Venezia, Firenze, Genova, Siena, Lucca...), caso unico in Europa, che dettero vita a veri e propri stati territoriali.
Fra gli uomini che fecero il Risorgimento c’erano, anche fra i democratici o i moderati, sia i patrioti e i pensatori “unitari” come Mazzini, che pensavano in primo luogo a come unire gli italiani in un vincolo comune, sia quelli “federalisti” come Cattaneo, sia gente in primo luogo attenta ai rapporti di forza in Europa, sia i letterati, i poeti, gli scrittori più grandi come Foscolo e Manzoni, che aprirono con passione nei loro scritti il problema italiano alla valutazione dei grandi paesi del continente.
Quando, al momento dell’Unità, in primo luogo sotto la guida intelligente e prudente di Cavour, fu tirata progressivamente in campo la monarchia piemontese dei Savoia, la soluzione divenne possibile e Garibaldi, con la generosità di sempre, si mise alla testa dei suoi “Mille” per la conquista del regno Meridionale. Si può solo rimpiangere che il Piemonte si mostrasse così chiuso a capire tutte le novità che erano venute in campo, che le aperture più democratiche innestate a Sud dall’impresa garibaldina non trovassero nessuna comprensione e che l’unità, in definitiva, regalasse alla fine all’Italia unita la nascita di una “questione meridionale”.

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